Il «Sole» dimentica l’economia e prende di mira il premier

Ieri in Confindustria qualcuno si chiedeva, simpaticamente, se Gianni Riotta «ci è o ci fa». A questi, nonché a molti altri lettori del Sole 24 Ore - quotidiano diretto da Riotta e controllato da Confindustria -, è balzata all’occhio l’intervista a Vittorio Dotti, pagina 8, inserita nel contesto delle cronache e dei commenti alla sentenza sul lodo Mondadori, con la quale il tribunale di Milano ha condannato la Fininvest di Silvio Berlusconi a un risarcimento di 750 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti. In altri termini, il quotidiano di Confindustria ha scelto di intervistare l’ex avvocato civilista di Berlusconi, ed ex capogruppo di Forza Italia alla Camera, balzato alle cronache per essere stato sentimentalmente legato a Stefania Ariosto, ossia il testimone «Omega», il maggior accusatore di Berlusconi e del suo altro legale di fiducia, Cesare Previti, in tutti i processi nati nel ’93-’94: da Imi-Sir, a Mondadori-Cir, al caso Sme. Dotti se ne uscì da Forza Italia anche perché accusato di essere uno dei presunti congiurati del golpe bianco, tentativo strisciante (già nel ’94) di scalzare Berlusconi attraverso la rinascita del grande centro. Nel clima di queste ore, dunque, delle due l’una: o pubblicando un’intervista a Dotti (che tra l’altro candidamente dice: «Bisognerebbe leggere la sentenza e io non l’ho letta...») il Sole si schiera, in qualche modo, contro il Cavaliere, oppure non si rende conto che questo è quello che appare. E tanto basta per sollevare un polverone. Che non è il primo per la direzione di Riotta, iniziata con la nomina del 30 marzo scorso al posto di Ferruccio De Bortoli, passato a guidare il Corriere della Sera.
In questi sei mesi il quotidiano milanese, secondo quanto risulta al Giornale, ha fatto arricciare più di un naso tra i suoi «grandi lettori» di viale dell’Astronomia. Compreso il suo presidente, Emma Marcegaglia, che è poi colei che Riotta lo ha voluto al Sole.
C’è un po’ di sconcerto per il taglio che fin da subito Riotta ha imposto al quotidiano «salmonato»: molte pagine dedicate agli esteri, articoli tradotti dal Financial Times, macro scenari; e, per contrasto, pochi stimoli al mondo imprenditoriale, poca attenzione ai problemi delle aziende, magari medie, magari piccole, alle prese con i colossali problemi dell’uscita dalla crisi, della disoccupazione, del credit crunch. Anche perché le imprese in questione, quando associate, pagano fior di euro di quota annuale alla Confindustria. E vedere il loro giornale che, pur quotato in Borsa, si dimentica un po’ troppo della «base», può non piacere.
D’altra parte Riotta, classe 1954, non diventa giornalista facendo inchieste e scoop tra le cose dell’economia, e men che meno tra quelle della finanza. Siciliano, si laurea in filosofia a Palermo e poi in giornalismo a New York, dove passa molti anni a scrivere di costume e cultura per il Corriere. Sono gli stessi temi che sovrintende dalla condirezione della Stampa, e dalla vicedirezione di via Solferino. E che gli permettono di salire alla direzione del Tg1. Ma non da soli: aiuta molto anche la sua vicinanza politica alla sinistra italiana. Uno dei primi lavori è da corrispondente siciliano del Manifesto. Mentre l’amicizia con Prodi è il salvacondotto per la Rai nel 2006. Ma a parte questo particolare, che ci azzecca Riotta col Sole 24 Ore, il quotidiano economico e finanziario più venduto in Europa? Domanda che i maligni accompagnano con i dati di vendita: in un anno 30mila copie in meno, da 206 a 176mila (dati di vendita a fine giugno), qualcuno dice ancora di più, calcolando gli abbonamenti persi. Mentre sono una quarantina gli esuberi previsti dal piano di ristrutturazione in fieri.
Emma Marcegaglia, secondo le ricostruzioni, lo sceglie proprio per dare al quotidiano un orizzonte più internazionale, una visione d’insieme che in un gruppo articolato e quotato in Borsa può portare lustro e ricavi. Dice però un osservatore milanese bene informato dei fatti, che il quadro è incompleto se non si aggiunge che lo sponsor forte è il numero uno di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, e che il disco verde del governo arriva da Gianni Letta, come una sorta di gentlemen’s agreement con la sinistra, per il rasserenamento del clima.
Missione fallita, a occhio. Perché i siluri verso il premier sono partiti uno via l’altro. Si pensi alla pagina intera data alla lectio magistralis del presidente della Camera, Gianfranco Fini, quando il confronto con Berlusconi era più aspro che mai.

O all’intervento del braccio destro di Luca di Montezemolo, Andrea Romano, sulla carica «anti-establishment» del Cavaliere. Al punto che, mentre Marcegaglia lotta per tenere Confindustria nella zona della neutralità, il Sole sembra seguire un’altra strada. Non sempre lineare. E creando non pochi problemi anche in casa propria.

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