Milano Che si chiami Habib, oppure Vassiliy, poco importa. Perché la notizia, ovvero luomo che morde il cane - stando ai risultati di un sondaggio presentato ieri a Milano - è che il 42% degli immigrati, una volta diventati italiani a tutti gli effetti, darebbe il proprio voto a Silvio Berlusconi. Secondo, ma sensibilmente staccato (con il 25%), il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. E poi, come diceva Adriano De Zan al Giro dItalia, «via via tutti gli altri». Ovvero Pierferdy Casini all11%, Antonio Di Pietro con il 9%, fino a un comunque sorprendente 8% che una volta conquistato il diritto di voto barrerebbe il nome di Umberto Bossi.
I risultati della ricerca, condotta dallIstituto Piepoli su un campione di 700 tra immigrati regolari e no, per conto dei Promotori della libertà, sono stati esposti dalla presidente della organizzazione «azzurra», il ministro del Turismo Michela Brambilla. Che ha definito i Promotori «la massima espressione del nostro movimentismo», con lo scopo di attivare su tutto il territorio «migliaia di portavoce del Pdl per portare tutti (dovunque) a conoscenza delloperato del governo». Nonché - invertendo il senso - per raccogliere il sentiment degli italiani sui più diversi problemi e porlo allattenzione dellesecutivo.
«Essendo quello degli immigrati e della loro integrazione uno dei temi più sentiti dai nostri connazionali, abbiamo voluto scandagliarlo ricorrendo a una chiave diversa - ha spiegato il ministro -. Andando a sentire proprio il parere degli immigrati, per capire a che punto si trovano in questo loro percorso». Anche perché, a suo avviso, il nodo della questione non è «se occorrano più o meno di dieci anni di residenza per avere la cittadinanza italiana, ma piuttosto il loro poter dimostrare di conoscere la nostra Costituzione, le nostre leggi, la nostra lingua e di condividere i nostri valori».
Su questo fronte, il sondaggio rivela come il quadro non sia granché confortante. Gli immigrati, anche i regolari che hanno allattivo una permanenza relativamente lunga (la media dei regolari è in Italia da 7,3 anni) ammettono di conoscere poco o nulla non solo delle leggi italiane in generale (52%), ma anche di quelle sui ricongiungimenti famigliari (62%) e sullottenimento della cittadinanza (42%). Ovvero proprio quelle norme che dovrebbero stare loro maggiormente a cuore. Non va meglio, limitandosi a chi le leggi le conosce, il loro grado di apprezzamento: a condividerle è appena il 41% degli intervistati.
Il piatto piange anche quando si affronta il livello di conoscenza di lingua e cultura. Solo il 10% sostiene di avere una buona padronanza dellitaliano, mentre il 54% risponde con un generico e non verificabile «abbastanza». Un modestissimo 6% degli stranieri - ma forse più sinceri di quanto sarebbero stati al loro posto gli italiani - ha sostenuto di conoscere a fondo la nostra cultura. Il 40% ha preferito limitarsi ancora una volta a un vago «abbastanza».
Va un po meglio nelle sensazioni e nelle intenzioni. Il 48% assicura di sentirsi integrato in Italia e il 75% si pone questo obiettivo, collegato comè allottenimento della cittadinanza. Una conquista per ottenere la quale - lo dice un immigrato su tre (37%) - il tempo di dieci anni è da ritenersi giusto e corretto. Decisamente più scarso è invece lappeal del diritto di voto. Che al di là delle «intenzioni di voto» manifestate per i diversi leader di partito - quelle ricordate allinizio - pare suscitare linteresse del 51% del campione. Percentuale che risulta dalla somma dei «molto» (22%) e degli «abbastanza» (40%). Molti di più (95%) sono gli interessati alla conoscenza della lingua italiana e quelli (92%) che puntano concretamente al sodo: il posto di lavoro.
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