"Soprusi contro Esselunga di Coop e giunte rosse"

Bernardo Caprotti, fondatore della catena di supermercati, in un libro-denuncia rivela le dinamiche di un sistema impossibile da scardinare. "Falce e carrello" presentato oggi: racconta collusioni tra colosso della distribuzione e governi rossi

"Soprusi contro Esselunga 
di Coop e giunte rosse"

Milano - Se oggi il benessere è dentro scaffali alla portata delle nostre mani, lo dobbiamo anche a lui e alla sua storia. Un’epopea vittoriosa. Un pezzo di America trapiantato in Italia. Ma l’Esselunga, che Bernardo Caprotti inventò giusto mezzo secolo fa, ha rischiato la morte per strangolamento. Se oggi l’Italia ha qualche grammo di concorrenza in più lo deve anche a lui e alle sue intuizioni. Ma l’Esselunga dimostra anche quanta strada ci sia ancora da fare verso un sistema davvero aperto, senza figli e figliastri, costretti a lasciare il passo a chi ha magari prodotti più scadenti e più cari, ma è avvitato al sistema politico.

Può sembrare strano e invece fa riflettere: all’età di 81 anni, finalmente Caprotti ha deciso come un patriarca di raccontare la propria avventura, ma alla fine le tappe di quell’epopea italiana, cominciata con l’apertura del punto vendita di viale Regina Giovanna sotto la Madonnina nel 1957, sono in realtà la narrazione di un conflitto contro un nemico forte, agguerrito e soprattutto onnipotente, almeno nelle regioni rosse: le coop.
L’autore non si perde in preamboli: nelle prime pagine del suo libro mister Esselunga si rivolge senza tanti complimenti ad Aldo Soldi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative di Consumatori e lo apostrofa con parole durissime, più ruvide di una requisitoria: «La vostra capacità di mentire e di ribaltare la realtà è illimitata. A me spiace, mi spiace veramente che lei mi costringa a fare qualcosa che non avrei mai immaginato. Rivelerò a molti ingenui, a tante persone in buona fede, chi veramente siete».
Ecco il vero scopo del libro, lampante già nel titolo: Falce e carrello (Marsilio, con prefazione di Geminello Alvi e uno scritto dell’inviato del Giornale Stefano Filippi). Un testo che Panorama oggi in edicola anticipa con un lungo articolo firmato da Stefano Lorenzetto, che 15 mesi fa aveva spronato Caprotti a trasformarsi in scrittore («spero di non averlo troppo deluso», lo ringrazia l’imprenditore a pagina 7).
Falce e carrello non è una celebrazione, ma una denuncia, non un testo di memorie vagamente malinconiche, ma la fotografia di una sequenza di soprusi, di prepotenze, di collusioni.
Seguono i fatti, naturalmente ricostruiti seguendo la versione dell’autore. Episodi che ci portano a Modena, a Bologna, in Toscana. Dove il potere vede negli scintillanti empori american style una spina nel fianco da eliminare. O contenere al massimo, come una malattia. Il muro di Firenze viene alzato nel 1961, lo stesso anno del muro di Berlino: «Visto il successo della nuova forma di distribuzione a Milano ed il suo sorprendente effetto calmieratore sui prezzi - dal 20 al 40 per cento in meno dei prezzi correnti - il prefetto di Firenze prese contatto con la Supermarkets italiani - oggi Esselunga - e le rilasciò cinque licenze commerciali».
Addirittura? Tanto per cominciare, il prefetto, «troppo innovatore, fu rimosso». Ma anche i cinque store non furono aperti. «Il sindaco Giorgio La Pira si recò personalmente a Roma per protestare - perché il primo supermarket, in via Milanesi, era stato aperto senza informarlo - ma si trovò di fronte alla decisa presa di posizione del ministro Colombo». E allora La Pira boicottò la crescita del marchio che arrivava dal Nord e infilava nel sacchetto della spesa un pezzo del sogno americano. Remò contro e con lui tanti altri. Come il quotidiano Avanti! che, lungimirante, sparse letteralmente terrore: «Se oggi le società di supermercati si presentano con prezzi di assoluta concorrenza... è perché vogliono fare piazza pulita di tutti i piccoli e medi rivenditori. A operazione conclusa, quando cioè a Milano ci saranno 50 o 100 supermercati, allora il monopolio rivelerà il suo vero volto e si rivarrà ad usura sui consumatori». Testuale. L’Esselunga non cresce. Passano gli anni e quel primo negozio, con le merci stipate in soli 800 metri quadri e nemmeno un posto auto per i clienti, diventa semplicemente obsoleto. Una sfida alla modernità. Caprotti prova a rimediare: si è liberata un’area interessante, in piazza Leopoldo, dove prima c’era una fabbrica di pile. Nel 1988 viene stipulato un compromesso con i costruttori, nuovi proprietari, per un valore di 21 miliardi. Nel 1995 l’accordo viene rinnovato e perfezionato per un totale di 32 miliardi chiavi in mano. Ma le lungaggini, le stesse che strozzano le infrastrutture del Paese, sono infinite: il 30 giugno 1997 la proprietà dà un ultimatum al gruppo Caprotti. In quel momento spunta Unicoop Firenze: il 7 agosto 1997 Unicoop Firenze «acquistò l’intera area nuda con i relativi diritti edificatori ad una cifra per noi impossibile: 29 miliardi di lire... Più di tre volte quelli che erano i valori dell’epoca. Per realizzare poi il supermercato di oltre 4000 metri, occorreva un investimento di altre decine di miliardi. Noi avevamo tentato e ritentato inutilmente per nove anni. Coop nel giro di tre anni progettò ed ottenne la concessione edilizia». Risultato: oggi in piazza Leopoldo c’è la Coop. «Ed Esselunga si trascina in via Milanesi col suo negozietto vecchio di quasi mezzo secolo». Eccolo lo strangolamento.
Lo stesso copione si ripete a Bologna. Il 19 maggio 1999, Esselunga attraverso la società Iridea sottoscrive un accordo da 40 miliardi di lire per l’acquisto dell’area ex Hatù in Via Costa e la costruzione di un supermercato con due piani di parcheggi. Poi accade l’imponderabile: nel sito viene identificato «un complesso rustico di età etrusca di indubbio e rilevante interesse archeologico». Che fare? «Il 16 novembre ’99 il ministero, a firma del direttore generale Mario Serio, ministro la signora Giovanna Melandri, appose il vincolo. Non si tocca più niente. L’impatto sull’opera a costruirsi era devastante. I parcheggi interrati irrealizzabili. La strada della rimozione con collocazione altrove dei resti archeologici ci fu detta non percorribile».
A febbraio 2000 Esselunga getta la spugna. E qui capita un fatto ancor più imponderabile: entra in azione la Coop Adriatica di Pierluigi Stefanini. Tempo due anni due e il supermercato è pronto e aperto. Ma come, i resti etruschi dell’antica Felsina? Caprotti va in perlustrazione e li trova «nella zona verde, all’apparenza abbandonata, in fondo alla via della Nuova Certosa, a Bologna. In un recinto con la base in cemento, sovrastato da una squallida griglia zincata, stavano “valorizzati” e coperti da una plastica nera in gran parte nascosta dalle erbacce, i segni di una perduta civiltà». Il trasloco dei reperti, negato a Caprotti come eresia, era stato concesso in un amen a Coop Adriatica.
Ecco le foto dello strangolamento. E di una distorsione delle regole base di un’economia sana e competitiva. Per fortuna, l’Esselunga ha perso qualche battaglia ma ha vinto la guerra. Caprotti racconta il pericolo corso fra il 2004 e il 2006, in coincidenza con uno dei periodi più difficili per il colosso della distribuzione: in quei frangenti il fondatore, pure provato da una grave malattia, pensa di vendere e di cedere proprio a Coop. Da sinistra è un florilegio di applausi al possibile «matrimonio» in nome dell’italianità: Coop - è il senso di tante autorevoli dichiarazioni - verrà in soccorso dell’Esselunga e della miglior tradizione italiana. Fino al discorso di Romano Prodi che in tv a Porta a porta il 7 febbraio 2006 dice: «Abbiamo le Coop, c’è ancora l’Esselunga»; il governo «le può mettere assieme, può aiutarle... a fare una politica perché stiano assieme».
Per Caprotti, «a parte il disgusto per l’indelicatezza», quell’uscita televisiva suona come una sveglia. L’Esselunga non viene venduta. L’Esselunga torna florida.

Caprotti sulla soglia pensosa degli 82 anni scrive questo pamphlet fiero e puntuto che vale cento manuali e che spiega meglio di tante analisi perché l’Italia non è un Paese normale. Ma, nonostante tutto, va avanti come i suoi migliori imprenditori.
Stefano Zurlo

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