A sorpresa il colpo di grazia è arrivato dai senatori a vita

Cossiga e Andreotti voltano le spalle al responsabile della Farnesina. Giallo sul voto di Pininfarina: corteggiato dai Ds, silura il governo. Zanone: "Ma che fai?"

A sorpresa il colpo di grazia è arrivato 
dai senatori a vita

Roma - La «lepre marzolina», lo scettico e il muto. Nell’illustre genìa dei senatori a vita sono tre i protagonisti che contribuiscono - come nessun altro - nell’hara-kiri prodian-dalemiano. Il primo riprende a esternare a raffica. Torna externator come ai tempi di Pian di Cansiglio quando, capo dello Stato, infilava dita negli occhi a tutta la classe politica. Di nome fa Francesco Cossiga e, dopo il voto di ieri, si contavano almeno 20 sue dichiarazioni di un certo effetto. Dava dell’SS all’altoatesino Oskar Peterlini e del brigatista a Valerio Zanone, suggeriva la sostituzione di D’Alema con Parisi «visto che ottenne in Senato una larga maggioranza sulla base di Vicenza» e non la finiva di iron0izzare su Prodi: «Va al Quirinale? A prendere un caffè, suppongo». Poco più tardi: «Accetti le dimissioni di D’Alema, affermando che il voto riguarda il ministro degli Esteri e non il governo, tantomeno lui che stava a Bologna». Ancora più oltre: «Non comprendo questa agitazione: sarebbe bastato che D’Alema avesse aperto uno spiraglio su Vicenza dicendo che il governo avrebbe aperto un tavolo con gli Usa per la ridefinizione di tutte le basi e, per quel che riguarda l’Afghanistan, che l’Italia avrebbe elaborato un suo piano di exit strategy e si sarebbe impegnata all’Onu per trasformare la missione in una serie di iniziative coordinate da Ong...». Non mancando di prendersela poi con Marini («Ha lasciato aperta la seduta sperando che qualcuno cambiasse idea... poveraccio!») e comunicando infine che «per coerenza», se il governo si ripresentasse a palazzo Madama, stavolta gli voterebbe contro.
Vulcanico, inarrestabile, ciarliero oltre ogni limite, Cossiga che da giorni aveva preannunciato il suo secco no. Ma è ad Andreotti che la sinistra guardava attonita. Che gli è successo? Perché dopo la fiducia concessa meno di un anno fa all’esecutivo, il cambio di marcia? Non aveva fatto trapelare che sulla politica estera avrebbe dato il suo sostegno? Lui, serafico, si limitava a poche, stringate, dichiarazioni: «Vero: sarei stato anche disponibile a votare a favore... ma poi questa posizione di dover esprimere comunque una discontinuità col governo Berlusconi, il dover ridurre sempre tutto a un pro o contro Berlusconi mi è sembrato un assurdo! Io non ho votato fiducie a Berlusconi né sono berlusconiano... ma a questo punto ho deciso di chiamarmi fuori!» ha sentenziato il sempiterno dc, con l’aria scettica di chi non crede più di dover puntellare quell’arlecchinata della maggioranza.
Ma era sul muto, al secolo Sergio Pininfarina, che si accentrava l’attenzione. I rinfondaroli quasi si strappavano i capelli per quella sua astensione che li portava dritti filati all’inferno. «Mi avevano giurato che era venuto per votare a favore del governo...» si lasciava andare, desolato, il capogruppo Russo Spena. E chi mai l’aveva garantito? «Non ve lo dico nemmeno sotto tortura!» replicava lui, piccato. Ma bastava fare un giretto tra buvette e sala di lettura che le leggende ingigantivano: «L’hanno portato in Senato con la macchina di Fassino!» assicurava un esponente della maggioranza. «Proprio così», gli si accodava un’altro. «Falso» replicavano dagli uffici del leader diessini. Mentre Renato Schifani, capogruppo azzurro distribuiva un’altra verità: «Lavoro nostro» ridacchiava soddisfatto.
In effetti quella di Pininfarina - rimasto in silenzio dopo la sua astensione - è la querelle rimasta in piedi. Zanone giura di aver saputo da lui stesso che avrebbe votato sì. Ma entrato in aula, lo stilista d’auto sceglieva i banchi di Forza Italia e parlottava a lungo con Cossiga. Zanone a quel punto gli si avvicinava e, a quanto dice chi c’era, gli urlava: «Ma che fai!». Caos, palle di carta, urla contro l’ex-segretario del Pli approdato nell’Ulivo.

Che si beccava poi da Cossiga l’accusa di essere, da giovane, tra quelli che col fazzoletto rosso al collo, ritmavano «Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato». «Mi scambia con qualcun altro», replicava. Ma intanto l’ondata di piena aveva già affogato la maggioranza. Chi di senatore a vita colpisce....

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