LA SPALLATA DEGLI AMICI

Acuti osservatori della politica italiana sostengono che il governo Prodi non cadrà né sull'Afghanistan né sulle pensioni: in politica estera l'esecutivo non può rompere con gli americani e l'estrema sinistra gli chiederà solo di recitare qualche ambarabaciccicoccò multilateralista a copertura delle scelte di fondo. Romano Prodi e Massimo D'Alema (quello che negava l'intervento di aerei italiani in Serbia) reciteranno la filastrocca e tutto procederà. Sulle pensioni avverrà il contrario: le scelte le detterà la Cgil e toccherà ai «riformisti» reclamare filastrocche compensative. La situazione in questo senso può essere sbloccata solo da fattori esterni: se il centrodestra alimenterà movimenti consistenti in difesa delle riforme già fatte (sulle pensioni, la legge Biagi, la politica di tagli fiscali) e se alle prossime amministrative il centrosinistra piglierà un colpo. I Ds sono ormai un partito di sindaci e perdere il controllo di enti locali per loro è più grave che rinunciare al governo. Comunque le amministrative restano un terreno difficile per il centrodestra che si scontra con forti blocchi di potere urbano (banche-editori-immobiliaristi).
C'è, però, un nuovo fattore di crisi che può provocare a breve scossoni devastanti nel centrosinistra: il malessere di rilevanti centri economici del Paese. In pochi mesi Prodi ha dimostrato la sua irruenza dirigista: ha svillaneggiato i Benetton costringendoli ad accordarsi con Intesa, ha smontato Telecom Italia in attesa di nuovi assetti. Quando Carlo De Benedetti mostra di essere troppo veltroniano, il premier non esita a scrivere sull'Espresso alludendo alla partita Alitalia, a cui il finanziere-editore è particolarmente interessato. Quando Luca Cordero di Montezemolo è spinto dalla base ad atteggiamenti meno compiacenti, Prodi lo minaccia (con un comportamento estraneo a qualsiasi civile società liberale) su una questione interna all'associazione degli industriali come la quotazione del Sole 24 ore. Giornale a cui ha scritto solo pochi giorni prima lamentandosi per articoli non benevoli e ricordando però che il quotidiano color salmone aveva un atteggiamento positivo verso il governo sui problemi delle infrastrutture ferroviarie: un dissennato intervento che è costato la presidenza dell'editoriale Sole a Innocenzo Cipolletta perché l'evidente incompatibilità di quest'ultimo è balzata agli occhi di tutti. Il fosco e prepotente dirigismo prodiano fa emergere per contrasto quanto sia stato liberale il governo Berlusconi: come non abbia mai usato il peso del governo contro centri economici non consenzienti, come non sia mai intervenuto nella vita interna delle associazioni di categoria. Persino in campo televisivo si riconosce che il vero terzo polo italiano, su cui Prodi cerca oggi di trafficare per le solite finalità politiche, quello di Rupert Murdoch, sia decollato in tempi di berlusconismo.
Certo il liberalesimo è un'aspirazione, il dirigismo è un pericoloso potere reale: per questo motivo assistiamo a imprenditori di valore come Alberto Bombassei che prendono posizioni non certo coraggiose sulla riforma delle pensioni («Lo scalone è troppo brusco»). Alcuni tra i soliti intriganti, poi, cercano ancora di contenere il dirigismo prodista con disperate tattiche insieme neocentriste e antiberlusconiane.

Però, sempre più, importanti centri economico-finanziari (influenti anche in ambienti di centrosinistra) stanno maturando l'idea che solo la caduta di Prodi e un opportuno governo di transizione possano bloccare derive inquietanti. Forse la necessaria crisi è più vicina di quel che si pensa.

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