A spasso con il «Collezionista di ossa»

«Salve, mi chiamo Jeffery Deaver e di mestiere faccio lo scrittore di thriller». Tutto si può dire del maestro della suspense americana tranne che difetti di candore. Ma il lettore non si inganni: Jeffery Deaver è un consumato professionista dello spettacolo, uno che si è fatto le ossa nelle assise giudiziarie tanto quanto nei folkclub in cui, seppur per un breve periodo, ha tentato la carriera del cantautore. Meno male che ha cambiato strada, verrebbe da dire. Eppure al festival blues «Dal Mississippi al Po» di Piacenza c’è chi gli chiede di cantare un brano di Woody Guthrie, nume tutelare dell'edizione 2009 nonché santo patrono di tutti i folksinger. «No, grazie», si schermisce Jeff. «Ho troppo rispetto del mio pubblico. Qualche anno fa ci ho provato, solo che poi mi sono reso conto che per fare il cantante bisogna saper cantare...».
Di queste battute sornione, Jeff ne elargirà in abbondanza nel corso del breve tour promozionale del suo ultimo romanzo, I corpi lasciati indietro, da lui definito una sorta di incrocio tra Thelma & Louise e Un tranquillo weekend di paura. Come, per esempio, quando si mette in posa davanti alla macchina fotografica. «Sono brutto abbastanza?» chiede, facendo la faccia torva per un ultimo scatto e sperando che il fotografo ritragga il Deaver più inquietante possibile. Una vera e propria ossessione, tanto che i suoi fan si stupiscono di scoprire un personaggio così mite e disponibile dietro la foto truce che campeggia sul retro della copertina. Altro che il primo sbarbatello italiano con un libercolo alle spalle e una prosopopea da premio Nobel.
Viaggiare con Jeff è un po’ come andare a spasso con Charlie, il barboncino di John Steinbeck. Non a caso, Jeff è un appassionato di cani e alleva Briard da concorso insieme alla fidanzata. Quando a Ivrea gli studenti di un liceo gli chiedono se ha una famiglia, lui mostra la foto dell’ultima cucciolata e, con un accento italiano alla Stanlio & Ollio, dice, «Bambini!». Il ghiaccio è rotto e a rendere ancor più amichevole il rapporto con la cittadinanza ci pensa una bella bottiglia (più d’una, a dire il vero) di barolo. Sulla strada per Biella, un addetto alla manutenzione della sede stradale lo riconosce a un incrocio. Succederà di nuovo con altra gente comune.
Deaver è una sorta di rockstar, suo malgrado. Infatti, a bordo dell’Eurostar che ci porterà da Torino a Genova, Nanni il controllore, un suo fan sfegatato, dopo aver letto il nome di Jeff sul biglietto gli chiede l’autografo. «Quanto vorrei avere un bel treno come questo tra il North Carolina e Washington», gli dice Jeff. Forse non sa che non sempre i treni italiani sono puntuali. In libreria qualcuno gli chiede se è vero che da ragazzino si è appassionato a un fumetto solo perché in copertina c’era un cane con una pistola puntata alla testa. Jeff sfoggia un sorriso malizioso. «Oh, sì, era una copia di National Lampoon e penso che in futuro farò altrettanto con i miei libri: minaccerò i miei lettori di ritorsioni se non li comprano». Con una faccia un po’ così e un’espressione un po’ così... non poteva che essere a Genova.
Pare che la domanda preferita dei lettori di questo tour riguardi la politica americana. Da indiscrezioni molto attendibili, pare che il libro da poco scritto da George Bush sia stato respinto da tutti i principali editori statunitensi. «Sono sicuro che i repubblicani non sarebbero mai riusciti a vincere queste elezioni. L’80% degli elettori americani ha votato per Obama in quanto buon candidato, non in quanto afroamericano. Il 10% gli ha dato il voto in quanto nero e un 10% circa non lo ha votato per lo stesso motivo... Obama mi sembra la persona più adatta ad affrontare il dopo-Bush. McCain era troppo vecchio e la sua salute troppo cagionevole. La semplice idea che la Palin potesse farne le veci ha atterrito molti americani. Comunque, mandare messaggi non è il fine dei miei romanzi. Per quello c’è il telegrafo». Con l’automobile passiamo accanto alla casa natale di Cristoforo Colombo e Jeff dice che sua sorella gli ha appena mandato una e-mail sul suo Blackberry per ricordargli che a Genova, appunto, è nato il grande navigatore. «Quasi quasi le scrivo che la sua casa è in vendita», dice. Si parte per Bologna. Arrivati in città e inghiottiti dalla folla assiepata per le celebrazioni della Madonna di San Luca, in una Piazza Maggiore gremita di fedeli, mentre un monaco intona il rosario dal sagrato Jeff mi guarda, con il solito sguardo furbastro, e dice, «non sarebbe male strappargli il microfono e promuovere il mio evento. Ma forse il Vaticano se ne avrebbe a male. Altro che Angeli e demoni...».
Jeff è una macchina da guerra, ma stavolta preferisce non mettersi a scrivere sul sedile posteriore della macchina che da Bologna ci porta a Milano, alla cui università statale terrà una lezione sui pericoli del web, in particolare su quello che oggi viene definito cyber-bullismo, una forma di violenza virtuale dai contorni psicologici pesantissimi. Jeff ne parla con piacere, visto che non perde occasione per dichiararsi un ex-sfigatello vittima di soprusi ai tempi delle scuole. A introdurlo è il professore Giovanni Ziccardi, docente di Diritto dell’informatica, una materia in rapida trasformazione. Uno studente gli chiede il segreto dei suoi libri. «La suspense e la tensione emotiva, che appassionano molto più della profusione di sangue e violenza. Prendete Alfred Hitchcock, per esempio. Di violenza non se ne vede mai nei suoi film, eppure lo spettatore sa che su di lui incombe qualcosa di tragico, di sinistro. D’altra parte, preferite vedere un film di Hitchcock o assistere a un’autopsia? L'esatto opposto di Brett Easton Ellis. American Psycho resta uno dei libri più inutilmente raccapriccianti della storia letteraria americana. Troppa violenza gratuita. E pensare che l’amministratore delegato di Simon & Schuster, mio editore americano, a due soli giorni dalla data di pubblicazione, decise di ritirarlo dal mercato e di distruggere tutte le copie stampate, non potendo fare a meno di pagare il cospicuo anticipo dovuto all’autore. Tale rifiuto sollevò un gran polverone ed Ellis si accasò immediatamente presso un altro grande editore, intascando in tal modo un secondo ricco anticipo. Se questa non è una immeritata botta di c...». Ma la dea bendata ha in passato sorriso anche a Deaver, ormai conteso tra tanti paesi diversi. Tecla Dozio a Milano lo costringe simpaticamente a leggere un dialogo tratto dalla versione italiana del suo ultimo libro. «Speriamo che a Varsavia non si mettano in testa certe idee», dice Jeff, in procinto di volare in Polonia. «I paesi dell’Est sono strani.

Una volta, a Praga, mi hanno portato nella più antica birreria del mondo, dove si produce e si beve una birra ad alta gradazione alcolica. Ne ho bevute un paio e poi mi hanno fatto ingurgitare un liquore verdognolo che mi ha steso del tutto. Non so come, ma sono riuscito a rientrare in albergo...». Se questa non è suspense!

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