Quando nel luglio del 2005 Vincenzo Visco voleva azzerare il vertice della Gdf in Lombardia, impegnato nelle indagini sulle scalate Antonveneta-Bnl, agì «intenzionalmente e anche dolosamente» sull’allora comandante Roberto Speciale, ben consapevole del danno che avrebbe cagionato ai quattro ufficiali che dovevano essere immediatamente trasferiti. Con questa tesi Speciale chiede al gip di Roma di respingere la richiesta d’archiviazione presentata dieci giorni fa dalla procura di Roma per il viceministro dell’Economia. E ipotizza due soluzioni: imputazione coatta per il diessino o supplemento di indagini.
Speciale, con il difensore Ugo Longo, individua infatti una lacuna che pare solo parzialmente sanata dagli accertamenti del Pm Angelantonio Racanelli. Ovvero il motivo che spinse Visco a chiedere con fermezza la rimozione degli ufficiali. Di certo «numerosi atti di indagine compiuti dall’accusa hanno fugato quella presunta oscurità», nel movente dell’agire di Visco. Si tratta di un passaggio decisivo visto che i quattro «in quel momento svolgevano delicatissime indagini di polizia giudiziaria su fatti di notevole rilevanza penale».
Speciale chiede di risentire due dei quattro ufficiali che dovevano lasciare Milano. Hanno messo a verbale un’indicazione precisa: «l’input era arrivato da Roma». Con un particolare illuminante. Lo indica il tenente colonnello Tomei: «Pomponi (suo superiore, ndr) mi disse che alla fine sarei riuscito a rimanere a Milano purché non mi occupassi più dell’incarico che svolgevo al momento». Pomponi conferma: «Doveva occuparsi di attività diverse da quelle fino a quel momento seguite». Ovvero interrogare Fiorani e Boni della Lodi sulla scalata di Consorte a Bnl. Oppure, sequestrare soldi nella disponibilità sempre di Consorte. Insomma, Tomei non si occupa di evasione fiscale. Era a Milano da dieci mesi. Quindi quando Visco dice che voleva trasferirli per i mancati risultati nella lotta all’evasione o l’eccessiva permanenza a Milano non è credibile. E ora andrebbe capito il motivo.
Speciale ripete che Visco ha «tentato di ottenere il trasferimento dei quattro ufficiali ordinando o cercando di imporgli di provvedere in tal senso o comunque esercitando pressioni indebite» con violazione quindi di «specifiche norme di legge». Determinando, soprattutto un danno. Sfugge all’ex numero uno «come non ne possa conseguire la consapevolezza del danno (immagine, carriera e onorabilità) che sarebbe derivato agli ufficiali da trasferire con immediatezza quale conseguenza diretta dell’illegittimità degli atti dallo stesso indagato voluti o pretesi». Ci fosse stato quell’oscuro grumo di potere indicato da Visco a Milano, citando tra l’altro come fonte un ufficiale nel frattempo deceduto e un ex appartenente che ha smentito, il trasferimento si sarebbe magari reso necessario ma non d’imperio certo dell’autorità politica. Né secondo quell’urgenza che segna tutte le pressioni esercitate da Visco e dal suo staff. L’iter dei trasferimenti segue norme precise. E tutto ciò che viene fatto senza motivazione, fuori dai periodici provvedimenti, avrebbe di conseguenza gettato un’ombra grave sui militari stessi. Innestando domande diffamatorie: «Perché li cacciano tutti insieme e nottetempo da Milano? Quale malefatta si cerca di coprire?». I quattro invece godevano di un largo apprezzamento nel Corpo e tra i magistrati di riferimento. «Appare evidente come la volontà dell’indagato - si legge nel ricorso - fosse quella di condizionare l’esclusività del comandante della Gdf in materia di gestione e di impiego del personale del Corpo, esautorando il comandante della funzione attribuitagli dalla legge». Visco, ha «così ordinato, imposto, pressato, prevaricato il generale Speciale per raggiungere rapidamente il risultato. Ove assecondato nel suo ”pensiero“ il comandante sarebbe stato per l’avvenire ”sotto tutela“». Di fatto commissariato.
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