Roma - In 140 minuti di interrogatorio, 93 pagine di verbale, la verità non emerge. Sul caso delle Fiamme Gialle, Vincenzo Visco non risponde alla domanda cruciale: perchè nel luglio del 2006 tra indebite pressioni sul comandante generale, allusioni, telefonate al curaro e incontri riservati, voleva che la gerarchia della GdF di Milano venisse rimossa, azzerata, destituita? Che gli ufficiali di comando su indagini delicatissime come quelle sulle scalate Antonveneta, Bnl/Unipol facessero le valigie in 48 ore? Davanti ai magistrati di Roma, interrogato il 28 giugno, porta delle incredibile storie. Abbozza giustificazioni. Copre di fango, per non scegliere altri termini, ufficiali lodati al contrario dal procuratore capo di Milano Manlio Minale. Indica poi decine di volte una presunta sua preziosa fonte dei segreti delle Fiamme Gialle. Ovvero, l’ex capo di Stato Maggiore Giovanni Mariella. Che però, caso vuole, è passato a miglior vita. E quindi incapace di confermare le molteplici e contraddittorie tesi del viceministro.
«Sono io il vero ministro». Una premessa. Visco sostiene a verbale d’essere vice di Tommaso Padoa-Schioppa solo sulla carta. In realtà è lui il vero ministro: «No non sono neanche viceministro - si legge a verbale - se non formalmente, cioè io sono una persona che avendo fatto il ministro delle Finanze, ministro del Tesoro, si è prestato a fare questa cosa, perchè serviva alla Camera e dato che il ministro dell’Economia è un mio vecchio amico e non è un politico io l’ho fatto per dovere..». La premessa ritaglia il personaggio. Spiega altre asserzioni, «io ho diretto la Guardia di Finanza per quattro anni».
Offre in fondo la chiave di lettura sull’intero procedimento, sulla determinazione di Visco a sostituirsi a Speciale in rimozioni, trasferimenti per motivi inconfessati. E si ritorna alle origini: perchè Visco voleva rimuovere l’intera gerarchia?
«Come ai tempi di Cerciello». La prima tesi che avanza è fosca. A Milano nel 2006 c’era un gruppo di potere in divisa come ai tempi del generale Cerciello, arrestato per corruzione con altre stellette durante Mani pulite. «Emersero tutta una serie di problemi molto inquietanti - afferma -, perchè Mariella mi aveva detto che “Lì si sta ricreando una situazione non dissimile da quella...”. Tenga presente che quando divenni ministro per la prima volta lì eravamo in pieno scandalo Tangentopoli, dove c’era la vicenda del generale Cerciello, tutta quella roba lì che dovemmo ripulire e ci riuscimmo solo con Mosca Moschini...». La sparata è grossa. Troppo. Ci vogliono fatti specifici. Così Visco prima ridimensiona, «io capivo che era più di potere che non di malversazione, sì, escluderei». Il Pm Racanelli è dubbioso. Scusi ma perchè non ha denunciato queste cose in Procura. Ma, anzi, questi casi, li indica? Conosce casi specifici? Visco sfugge: «C’erano dei problemi evidenti nel vertice della GdF, stava succedendo qualcosa di singolare, c’era un intreccio di interessi e di potere che teneva in modo stretto insieme alcuni settori al vertice della Guardia di Finanza e in particolare con la Procura di Milano».
Ma la tesi è debole. Così Visco cala un altro argomento: «La cosa per me molto più rilevante è che in tutto quel periodo la GdF in particolare Milano non si faceva nessun contrasto all’evasione fiscale, cioè i compiti istituzionali del Corpo non venivano svolti». La tesi è sghemba. I risultati di servizio, i raffronti con gli anni precedenti sono nel fascicolo della Procura. Dicono il contrario. Gli stessi Pm milanesi stimano quei dirigenti della GdF. E allora? Insiste: «A Milano c’erano un gruppo di persone che era più dedito a altro tipo di interessi....». Il Pm Racanelli si spazientisce. Scusi, fatti specifici? E Visco: «Nessuno».
Controllo le aziende di Milano. A Visco sfuggono infatti frasi detonanti. Visto che gli ufficiali erano stimati, portavano i risultati, qual è il vero motivo della rimozione? «A me serviva avere lì gente - sibila - che riprendesse a controllare l’economia milanese». Insomma, Visco dopo «aver diretto la Guardia di Finanza per quattro anni» voleva che ufficiali di sua assoluta fiducia controllassero in modo per lui soddisfacente l’economia meneghina. Proprio dove ci sono aziende, tanto per dirne una, di Silvio Berlusconi. E dove, sempre per caso, proprio i quattro ufficiali avevano messo le pietre angolari delle indagini su Unipol/Bnl. Tanto che a un certo punto sbotta e scivola: «Il mio predecessore (si riferisce a Giulio Tremonti, in realtà predecessore di Tommaso Padoa Schioppa, ndr) è uno dei più importanti tributaristi milanesi va bene? E quindi...».
Consorte o Conforte? Ma quello a cui Visco preme di più è scollegare questa rimozione con le intercettazioni Unipol, quelle che hanno riempito i giornali lo scorso luglio. Nega di saper che la GdF, che pur dice di conoscere assai bene, aveva sentito le telefonate di Fassino & C. Storpia il nome di Giovanni Consorte, numero uno di Unipol in «Conforte». Del resto Visco scivola più volte. Ammette: «Quando telefonai a Speciale con la bava alla bocca... per il resto l’ho trattato a pesci in faccia». Ripete che non mostrò alcun foglietto al generale con indicate le persone da trasferire, ma Racanelli gli contesta la testimonianza del generale Italo Pappa. Conferma l’esistenza del foglietto. E lui tentenna: «Ne ho tanti sulla scrivania....». E ammette: «Io avevo davanti a me un foglio come questo, va bene? Dove avevo segnato quali erano le denominazioni degli incarichi». Dice che gli ufficiali erano lì da una vita. Uno di loro aveva traslocato da appena dieci mesi.
Insomma Visco è in difficoltà. A un certo punto dice al Pm: «Si rilassi!». E questo, pronto: «Io sono rilassato anche perchè probabilmente in questa situazione qua io non ho motivo per non essere rilassato io».gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it
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