Samuele Bersani: "L'amore, l'ironia, il dolore. Ecco la mia foto del mondo"

Il cantautore al disco della svolta: "Meno introspezione e più realtà. Ora sono in pace con me stesso. Ma so che è una pace in affitto"

Samuele Bersani: "L'amore, l'ironia, il dolore. Ecco la mia foto del mondo"

Ebbene sì, c'è una dolcezza inaudita nelle nuove canzoni di Samuele Bersani. Disco nuovo dopo oltre quattro anni. Disco nuovo e basta. Il titolo dice già molto: Nuvola numero nove, versione dell'inglese «cloud nine» ossia settimo cielo. Ma tutti i brani grondano serenità, forse perché dopo quasi vent'anni di testi per lo più introspettivi, ora finalmente il suo sguardo si è affacciato alla finestra del mondo. Merito forse di un incontro inatteso e carico d'amore che lampeggia qui e là nei versi di En e Xanax, primo azzeccatissimo singolo. «In effetti lo stato d'animo è molto diverso da quello che avevo quando ho registrato il penultimo disco Manifesto abusivo. In più stavolta ho avuto molta più autonomia». Ossia ha deciso quasi tutto da solo dopo essersi riscoperto più solo: «La morte di Lucio Dalla per me è stato uno choc». Perciò Samuele Bersani, 43 anni, occhiali neri e anima piena di riflessi, ha iniziato la terza parte della sua storia musicale: dopo l'ironia cantautorale e la frenesia (auto)indagatrice, ora c'è la contemplazione mai sarcastica e spesso ottimista. E forse, oggi in un'epoca intasata dalla negatività, questa musica è una boccata d'aria non soltanto per le orecchie.

Un bel cambiamento, caro Samuele Bersani: pochi se lo sarebbero aspettato.

«Non ho mai sopportato il cliché del cantautore che doveva appesantire le giornate di chi lo ascoltava. Ma in effetti in certi momenti della mia carriera mi sono accorto che il vero significato dei miei versi lo avrei capito solo io. O il mio analista, se lo avessi avuto».

A proposito: En e Xanax.

«La mia prima autentica canzone d'amore».

Il primo singolo di questo disco.

«Pare stia andando bene anche in radio».

Cesare Cremonini ha twittato che sembra una Anna e Marco versione 2.0.

«Ho sempre pensato quel brano di Lucio Dalla come la canzone d'amore che avrei voluto scrivere. Di certo, oggi Anna e Marco oltre a “grosse scarpe e poca carne” avrebbero avuto bisogno dell'aiutino, come si dice oggi».

Di certo è una canzone nata da una scintilla d'amore.

«Quando ho incontrato la mia compagna ci siamo detti: non teniamoci tutto dentro, scambiamoci anche i nostri fantasmi».

Un verso splendido dice: «Poi sovrapponevano il battito cardiaco».

«La fortuna è quella di incontrarsi nel momento giusto. Il brano non è autobiografico. Ma appena l'ho composto, gliel'ho fatto ascoltare. E la sola idea mi ha fatto sentire più leggero».

L'ha registrato, come tutto il disco, nello studio di Lucio Dalla.

«Ho inciso pochi brani perché per me i dischi belli sono corti. La voce del padrone di Battiato aveva solo 7 brani. Ma non non mi stancherei mai di riascoltarli».

Lucio Dalla.

«Per me è stato terrificante realizzare che lui non ci fosse più. E anche molto triste vedere il suo studio in uno stato non proprio perfetto. Forse ci sarebbe bisogno di una Fondazione per il suo incredibile patrimonio culturale. Mi ha lasciato più solo».

Più solo?

«Ero troppo abituato a chiamarlo a qualsiasi ora per confrontarci, per leggergli un verso, per avere un parere. In fondo, oltre che a mio padre, a lui devo tutto».

Il brano Chiamami Napoleone gli sarebbe piaciuto molto.

«Quel brano, nel quale cito Monica Vitti e Claudia Cardinale che se ne sono sempre fregate del tempo che passa, è una parodia di quest'epoca della grande comunicazione, nella quale si può parlare persino con i morti. Ma in realtà si rischia la solitudine».

Accenna anche ai Modà.

«Ma non per criticarli: è evidente che, in una fotografia del nostro tempo, loro non potevano mancare».

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