«Boccaccia mia statti zitta!. Tutti i telespettatori che nel 1968 erano bambini oggi non potranno fare a meno di ricordare questa battuta-tormentone: la ripeteva (con la voce di Oreste Lionello) Provolino, un pupazzo tenuto in braccio da Raffaele Pisu. Provolino, ovvero il simbolo della popolarità dell'attore bolognese, scomparso ieri all'età di 94 anni: i due finiranno protagonisti di una serie di giocattoli, di dischi, perfino di album a fumetti. Con la sua comicità solo apparentemente candida, ma all'occorrenza pronta alla corrosività di battute fulminanti, Pisu era amatissimo dal pubblico televisivo degli anni '60.
Aveva iniziato alla radio nel dopoguerra (reduce da quindici mesi di prigionia in Germania, e da trascorsi come partigiano); ma furono trasmissioni-cult come L'amico del giaguaro, dove assieme a Gino Bramieri e Marisa Del Frate compose uno storico terzetto, Che domenica amici, antesignana delle odierne Domeniche In con Ric e Gian e Carmen Villani, e Vengo anch'io (no tu no), che lanciò l'omonima canzone di Enzo Jannacci, a farne un personaggio davvero popolare. E amato. Come si può amare uno di casa: lo zio burlone, che ci diverte con i suoi scherzi intempestivi e le barzellette inopportune. Proprio il tipo di personaggio che Dino Risi gli tagliò su misura per L'ombrellone, una delle migliori commedie all'italiana sul boom di quel decennio, in cui interpretava un inesausto fornitore di gag e tiri mancini. Perché il talento di Pisu era soprattutto comico: a fare il serio in famiglia ci pensava già, ed egregiamente, il fratello Mario (che per Fellini girò Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti).
Lui preferì sempre impiegare l'istrionica capacità parodiante, e un'ironia fatta di astuti giochi di parole, di doppi sensi innocui e assurdi calembours, nel condurre show che facevano la gioia delle famiglie riunite davanti alla tv. L'estivo Senza rete, dove cantanti famosi si esibivano senza la rete del playback, allora imperante, o il musical a puntate Non cantare, spara!, che ad interpreti come il Quartetto Cetra, Mina o Gaber univa attori come Aroldo Tieri, Luigi Vannucchi, Lina Volonghi.
La stessa evidente vocazione alla leggerezza fu sfruttata al cinema, sia pure con limitato riscontro, in pellicole minori di firme famose - Padri e figli di Monicelli, Susanna tutta panna di Steno - oltre che in numerosi «musicarelli» con Morandi e la Pavone. Per questo nel 1965 stupì la scelta di Giuseppe De Santis di affidare proprio a Pisu il drammatico personaggio del soldatino romano che, in Italiani, brava gente, muore di stenti durante la ritirata di Russia. Unico ruolo tragico in una carriera tutta votata al sorriso, e per il quale solo l'autunno scorso l'attore era stato ricevuto in udienza privata dal presidente Mattarella, in occasione del restauro del film.
Con la fine degli anni '70 la notorietà di Pisu sembrò interrompersi. L'attore si ritirò dalle scene per più di dieci anni. Ma nel 1989 in piena forma rispuntò accanto ad Ezio Greggio per Striscia la notizia. Da quel momento la sua prodigiosa vitalità gli procurerà molta fiction televisiva (Non ho l'età, Don Matteo) e preziosi «cameo» in pellicole come Il trasformista di Luca Barbareschi, Le conseguenze dell'amore di Paolo Sorrentino, Tutta colpa della musica di Ricky Tognazzi. L'ultimissimo film, nel 2017, sarà la chiusura di un cerchio. Nobili bugie lo dirigerà infatti il figlio Antonio Pisu, e lo produrrà Paolo Rossi, che da poco l'attore aveva scoperto di aver avuto fuori dal matrimonio, cinquant'anni prima, grazie ad un flirt intrecciato durante le riprese de L'ombrellone. Fino a che ieri, a dare l'annuncio della sua scomparsa, è stato proprio il figlio Antonio, pubblicando un post intenerito e una foto che lo ritrae bambino accanto ai genitori. «Eravamo proprio belli tutti e tre insieme. Abbiamo riso, sperato, sperperato e goduto. Insieme.
Grazie per avermi reso un bambino felice, con un sacco di avventure vissute insieme al suo papà. Quella felicità me la ricordo bene e muoio dalla paura di non ritrovarla mai più. Ciao papà. Che il viaggio ti sia lieve».
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