Bernard Lewis si è spento ieri a Philadelphia, avrebbe compiuto 102 anni fra pochi giorni, il 31 maggio.
Quando nel 1976 i lettori di Commentary, il sofisticato mensile americano diretto da Neal Kosodoy, lessero un articolo del professore intitolato «Il ritorno dell'Islam», spalancarono gli occhi: il saggio prevedeva, in tempi in cui ancora non si era avuta la rivoluzione islamica degli Ayatollah, e Osama Bin Laden era solo un giovane sunnita estremista, che l'Islam presto avrebbe rovesciato il tavolo troppo inaccuratamente apparecchiatogli dall'Occidente, e invitava a stare attenti. Fu sempre Bernard Lewis a spiegare - quando nemmeno ci si pensava le intenzioni totalitarie di Khomeini, a quei tempi un chierico in esilio mentre lo Scià era saldamente sul trono iraniano. Col suo tipico understatement inglese spiegò: «Era facile capire cosa avrebbe fatto l'ayatollah leggendo i suoi testi, ma pochi sapevano il parsi».
Bernard Lewis di lingue ne sapeva almeno una decina, e nelle minime sfumature; e le parlava, dall'arabo al turco, con una ironica elegante sfumatura di orgoglio quando citava testi sconosciuti dai più, minimizzando l'accento, rimasto britannico anche dopo che si era naturalizzato americano.
Lewis ha scritto un'intera biblioteca, e ha lasciato anche due libri intervista con la sottoscritta: aveva un profondo rispetto per l'islam e quindi anche una severità diretta, da amico a amico, per le sue cattive pulsioni. Non aveva remore a dire che l'attuale violenza dell'islam proveniva dall'interno, dalla sua struttura, dal suo Corano.. eppure i musulmani l'hanno tradotto, invitato, imparato. Lo si definito un «occidentalista» per sfottere il classico termine «orientalista», rovesciato da Edward Said. Lo era? Si può dire che era un amante dell'analisi storica, mal tollerava gli estremismi, frenava sempre persino quello degli amici. Anche nei modi era un maestro: un maestro di stile, spiritoso e che amava la battuta.
Su mio invito è venuto in Italia tante volte a spiegare un universo sconosciuto; nel mondo lo si consultava ai massimi livelli: mi ricordo svariate limousine che negli Stati Uniti lo venivano a prendere per portarlo alla Casa Bianca... Israele è sempre stato il suo amore, la sua cura, la sua preoccupazione.
Amava l'Occidente e la democrazia, ma con garbo, senza fanatismi e senza illudersi che l'islam potesse adottarne il sistema. E questo fin da quando, ufficiale di Sua Maesta Britannica negli anni Quaranta si avventurava nel deserto, era un giovane Lawrence d'Arabia affascinato dal mondo islamico. Quando fece il suo Bar mitzvah (il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l'età matura) a Londra imparò a leggere la sua porzione biblica in ebraico, e da qui si avventurò per i rami delle lingue semitiche di cui si sarebbe occupato per sempre. Guardava il Medio Oriente da umanista, parlò di tutto quello che vi era connesso: poesia, letteratura, armi, «assassini», antisemitismo, donne, leader.... Che fortuna hanno avuto i suoi allievi, fra cui la sottoscritta, a incontrarlo, a amarlo, a esserne curati come lui sapeva fare senza apparire.
Lo incontrai la prima volta a Bologna nel 1991, per una «lettura» del Mulino e lo intervistai. Non capivo quasi niente di quel che diceva, ma ne intuii l'importanza. In Israele mi presentai, non invitata, all'ospedale quando seppi che doveva subire una operazione. Quando si svegliò, c'eravamo io e Uri Lubrani, il governatore israeliano del Libano, a sua volta un grande conoscitore della cultura musulmana, specie dell'Iran. Da allora è stato tutto un ascoltare le sue storie, le sue interpretazioni: me le ha regalate durante lunghe passeggiate, spesso in compagnia della sua compagna, Buntzie Churchill, sul lungomare di Tel Aviv.
Bernard adesso se n'è andato, ha lasciato un drappello compatto che dodici anni fa si riunì al Bellevue Stratford Hotel di Philadelphia (famoso per aver ospitato lo zar Nicola II) in una conferenza a cui parteciparono anche grandi leader: il capo dei Sufi sceicco Kabbani, l'ex vice presidente americano Dick Cheney, il grande storico libanese Fuad Ajami, la eroina anti-islam estremista Hirsi Ali, Henry Kissinger... e poi noi, i suoi allievi, che ricevemmo una maglietta con stampata sopra la sua foto. Si discusse della grandiosità di una cultura che ha dato forza e dignità a tanti milioni di persone, ma che - cito Bernard Lewis - «è una religione di potere, e nel mondo musulmano è giusto e ben fatto che il potere sia posseduto dai musulmani, e solo da loro. Altri possono ricevere la tolleranza, persino la benevolenza, di uno stato islamico, ma devono riconoscerne la completa supremazia. Che non musulmani governino i musulmani, è un'offesa alle leggi di Dio. L'islam non è solo una religione, nel senso limitato dell'Occidente, ma una comunità, una fedeltà, un modo di vivere».
Ultimamente ci siamo parlati via Skype con l'aiuto del nostro comune amico e compagno di strada Harold Rhode: voleva sapere dov'ero, come stavo...
Il suo affetto era un tutt'uno con la sua cultura, anche se non aveva più tanta forza.Ha seguitato a parlare a tutti quelli che hanno voluto capire il Medio Oriente, e seguiterà a farlo con i suoi scritti e la sua voce, nella nostra memoria e nel nostro cuore.
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