
Dopotutto basta il nome, Alan Sorrenti, e parte subito uno dei ritornelli che tutti hanno cantato almeno una volta: «Noi siamo figli delle stelle, non ci fermeremo mai per niente al mondo oh». 1977. «Quanto tempo è passato e quanto liberi eravamo in quegli anni», dice lui oggi sorridendo. Riff di chitarra azzeccatissimo, voce in falsetto che allora era un must e infatti subito dopo al primo posto in classifica arrivò Stayin' alive dei Bee Gees. Insomma quel brano fu un successo di quelli che rimangono nel tempo e che sono uno spartiacque per qualsiasi carriera. C'è un prima e c'è un dopo Figli delle Stelle (tra l'altro prodotta da Phil Ramone, uno che ha prodotto Bono, Elton John, Paul McCartney e Frank Sinatra, tanto per fare qualche esempio).
L'Alan Sorrenti che c'era prima si può ascoltare tutto insieme in The Prog Years, un cofanetto che contiene (in formati diversi) i suoi quattro album di progressive rock incisi tra il 1972 e il 1976 oltre a versioni alternative e inediti come Sai amore: «Riascoltandolo, ho pensato fosse un mio provino solo di pianoforte e voce ma poi mi ha conquistato la semplicità e ho deciso di pubblicarlo lo stesso». Oggi ai giovanissimi il progressive rock può apparire come pura archeologia. Negli anni Settanta era una delle nuove frontiere perché «era un modo diverso di concepire il rock e di assorbire altre influenze come il folk.
Insomma, in una struttura rigida come la canzone rock si potevano includere le cosiddette variazioni». In quegli anni Alan Sorrenti, che è nato a Napoli nel 1950 da padre napoletano e mamma gallese, ha cercato le proprie variazioni con i maestri del genere. Per capirci, nel debutto Aria suona Jean Luc Ponty, il violinista preferito da Frank Zappa: «Abbiamo fatto anche dei concerti insieme, lui ed io da soli, voce e violino e basta». E in Come un vecchio incensiere all'alba di un villaggio deserto del 1973 il flauto è di David Jackson dei Van Der Graaf Generator: «Quello era il mio mondo di riferimento, dai King Crimson alla Pfm a Peter Hammill solista. E Tim Buckley e Leonard Cohen, che mi hanno dato la strada vocale che stavo cercando». Giusto per rendere l'idea, i primi due erano album in vinile che avevano la prima facciata interamente occupata da un brano (quello che dava il titolo al disco) e la seconda con brani più vicini alla canzone melodica e testi meno complessi. «La definizione progressive è stata coniata soltanto dopo, noi in realtà cercavamo semplicemente più libertà». E cercavano di restare fuori dalle questioni politiche, a differenza dei cantautori molto più schierati. «Nel brano Vorrei incontrarti, che è molto ispirato da Leonard Cohen, c'è il verso vorrei incontrarti fuori dai cancelli di una fabbrica che avrebbe potuto far pensare che fossi di sinistra. Ma quel verso non ha riferimenti politici, soltanto descrittivi», spiega lui dalla sua casa di Roma. E poi aggiunge: «Nessuna mia canzone aveva contenuti politici. Anche per questo a un certo punto siamo andati a registrare negli Stati Uniti, perché anche il mio grande produttore Corrado Bacchelli aveva capito che, se fossi rimasto in Italia, sarei stato manipolato politicamente».
Strani tempi, quei tempi.
Se un artista non faceva politica, dalla critica era automaticamente degradato a «canzonettaro». In realtà oggi si scopre che tanti presunti «canzonettari» erano artisti complessi e che molte «canzonette» avevano contenuti, riferimenti o citazioni degne della migliore canzone d'autore. «In ogni caso, quegli album progressive, specialmente l'ultimo Sienteme, it's time to land del 1976, sono stati la pista di decollo per Figli delle stelle». Lì nasce l'Alan Sorrenti che arriva dopo. Il brano rimane nella top ten per sedici settimane, poi arriverà Tu sei l'unica donna per me e Non so che darei, bel successo in tutta Europa.
In tutti questi anni Alan Sorrenti ha continuato a registrare album, inciampando qui e là in vicende di cronaca e abbracciando la fede buddista. «Oggi sono il risultato degli eccessi, delle visioni, degli entusiasmi di quel tempo. Non avevo la razionalità che, come si vede oggi, porta alla normalità. Sognavamo ispirazioni immediate e brucianti e visioni senza alcuna razionalità. Pensavamo, come diceva anche David Bowie, che i testi davvero belli nascono soltanto dall'inconscio». E per agevolare l'inconscio, come si sa, talvolta si cercavano sostanze particolari.
Ora Alan Sorrenti, che ha sempre la voce soave di Figli delle Stelle, sta registrando un altro disco che «forse potrebbe uscire entro la fine dell'anno» e ne parla con l'entusiasmo di chi affronta la musica sempre con lo stesso spirito: da osservatore entusiasta. E nel frattempo resta uno dei testimoni più credibili di un'epoca passata che oggi è difficile persino descrivere tanto sembra lontana nel tempo. Lui, però, ha Sky, il figlio di quindici anni, che ascolta la dance e i nuovi cantautori come Calcutta o Vasco Brondi. «Musicalmente sono un po' monocordi» dice lui, e c'è da capirlo visto da dove arriva.
Però aggiunge: «C'è una vena sempre più cantata e sempre meno parlata e questo mi piace molto». E infine prende fiato, Alan Sorrenti, dopo aver messo tra parentesi per qualche minuto il suo ritornello più famoso e aver raccontato com'era la musica quando si pensava che davvero fosse la strada per il futuro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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