Altri volti, stesso sangue, la "Gomorra" senza Ciro rimane sempre crudele

La serie di Sky Atlantic racconta una nuova spartizione del potere. Con i colletti bianchi...

Altri volti, stesso sangue, la "Gomorra" senza Ciro rimane sempre crudele

Che il male attiri più del bene è faccenda nota. Che la rappresentazione del male spinga (a seconda di com'è rappresentato) a prenderne le distanze, oppure al contrario - a praticarlo più di quanto comunemente si farebbe, è faccenda dibattuta. Non a caso su una rappresentazione del male, efficace quanto discussa, Roberto Saviano ha costruito il suo successo. Qualunque cosa questa rappresentazione significhi. Lo testimonia l'ennesimo ritorno di Gomorra: titolo originale Sky giunto ormai alla quarta serie, dodici episodi dal 29 in onda ogni venerdì su Sky Atlantic, che sviluppa ancora una volta in modo articolato e indubbiamente attrattivo (alla sceneggiatura collabora Saviano stesso) l'originale plot di azioni malvagie e figure criminali che campeggiavano nel libro all'origine di tutto. Ed edificando così una vera e propria «saga nera» che conta, ormai, schiere di veri e propri fan e cultori.

A giustificarne gli scopi e a negarne le eventuale ricadute negative, Saviano insiste, naturalmente, con i consueti argomenti: alla conferenza stampa di ieri a Roma (cui ha partecipato solo attraverso un video-messaggio) ha spiegato infatti che «questa quarta serie di Gomorra racconta la svolta che la finanza, l'economia e la politica stanno avendo in Italia. Ne emerge un'Italia che è il Venezuela d'Europa. In cui un'economia sana non esiste più, in cui tutto è compromesso, e regnano la mediazione, la corruzione, i colletti bianchi». E prevenendo i molti che contestano a questa sua spietata visuale l'assenza, appunto, di qualsiasi barlume di speranza, afferma: «Questa nuova serie non ha paura del collasso del nostro Stato. E non ha paura di dirlo. Questo dà fastidio? Che lo dia. Questo è intrattenimento? Certo che lo è: la fiction deve esserlo. Ma Gomorra fissa in volto il puzzo dei soldi». Con almeno una conseguenza indiscutibile: Gomorra ha successo. E veleggia già verso la quinta serie, per la quale i responsabili promettono «altri sviluppi sorprendenti e un'idea centrale fortissima. Noi non facciamo Gomorra tanto per sfruttare un marchio precisa Nils Hartman di Sky - ma perché i suoi contenuti paiono non esaurire mai la propria energia».

«Questa non è una serie come le altre aggiunge Riccardo Tozzi, produttore di Cattleya -. I cicli si susseguono ogni volta differenti, i personaggi noti muoiono e ne arrivano altri nuovi; perfino i registi cambiano (solo stavolta sono stati cinque, fra cui Marco D'Amore, ex interprete di Ciro, morto alla fine della stagione precedente e resuscitato in veste di regista dietro la cinepresa); ma il successo e l'identità del soggetto rimangono inalterati. È come se Gomorra avesse una vitalità sua, che la manda avanti per forza propria».

E stavolta la conduce verso i lidi della finanza e della politica. Scampato alla lotta fra i clan rivali, alla scomparsa di tutta la sua dinastia e alla morte del suo mentore Ciro, Gennaro Savastano detto Genny (Salvatore Esposito) decide infatti di sottrarre la moglie Azzurra (Ivana Lotito) e il figlioletto Pietro al continuo rischio cui le sue attività criminali li sottopongono. Ma non decidendo di redimersi («Dire che Genny diventa buono, anche solo accostare l'aggettivo buono al nome di Genny, merita l'arresto», scherza l'attore) ma semplicemente ripulendosi le mani con affari meno compromettenti ed ugualmente fruttuosi. «Per questo racconta Esposito - cede tutti i propri affari a Patrizia (Cristiana dell'Anna) e cerca di defilarsi dedicandosi all'alta finanza. Naturalmente è solo un cambio di prospettiva, non di natura: le sua azioni rimangono malvagie». Nonostante questo, però, Esposito sembra essere meno tranchant di Saviano: «Le zone di buio che noi raccontiamo esistono in tutte le città del mondo, non solo a Napoli. Ma esse contengono comunque dei barlumi di speranza. Lo stesso cambiamento di Genny, pur non essendo una vera redenzione dimostra che qualcosa si è smosso in lui: forse l'accenno di una crisi, almeno dei dubbi, che chissà dove lo potrebbero portare. Ma cosa lui diventerà davvero si saprà solo alla fine della serie».

Nella sua nuova veste di regista, Marco d'Amore commenta: «Il motivo fondamentale dell'alta qualità televisiva di Gomorra risiede nell'altissima professionalità di tutti i comparti che ne portano avanti il progetto. La mia evoluzione, da interprete a regista, ne è la dimostrazione. L'esperienza comune mi ha spinto ad assumere un ruolo così diverso molto naturalmente. Direi spontaneamente».

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