Chi governa non può trascurare le questioni ambientali. È richiesto dallo spirito dei tempi, soprattutto dalla sensibilità spiccata dei ragazzi sull'argomento. Non c'è bisogno di essere Greta Thunberg e neppure un catastrofista climatico per rendersi conto che respirare meglio e proteggere il territorio sono obiettivi ragionevoli e convenienti alla salute, talvolta anche al bilancio economico. Senza citare i problemi aperti dalle nuove tensioni geopolitiche, strettamente intrecciate alla questione del fabbisogno energetico e di come ottenerlo. Si è già aperto, con ammirevole tempismo, il dibattito su quali debbano essere i cardini di una politica conservatrice in questo settore. È necessario proporre una visione alternativa all'ambientalismo che affonda le radici nel '68 e pensa di sfruttare le battaglie verdi per ottenere un surrogato di socialismo. Questo ambientalismo ha una visione anti-imprese, anti-crescita e non tiene conto delle esigenze sociali delle persone. Prendiamo il recente caso di Milano. Migliaia di lavoratori si sono trovati senza auto, da un giorno con l'altro o quasi, e nel mezzo di una crisi economica feroce, perché il sindaco Sala ha deciso che le macchine vecchie sono inutili e inquinano, quindi raus, via, se ne restino fuori dal centro e zone limitrofe. Non stiamo parlando di collezionisti di bolidi d'epoca ma di gente che non aveva i soldi per cambiare l'automobile...
Conservare la natura (Giubilei-Regnani) di Francesco Giubilei è un ottimo modo di ripercorre l'ambientalismo in chiave conservatrice. Novello Papafava ha invece scritto Proprietari di sé e della natura (Liberilibri), una introduzione all'ecologia liberale, che chiede meno Stato nella gestione, ad esempio, dell'acqua. Un referendum l'ha lasciata nelle mani bucate, anzi nelle tubature bucate, dello Stato col risultato che affrontiamo ogni estate una crisi idrica dovuta sì alla siccità ma anche alle infrastrutture colabrodo.
Un terzo titolo per approfondire la questione potrebbe essere Italia da salvare. Scritti civili e battaglie ambientali (Einaudi, 2005) di Giorgio Bassani.
Bassani fu tante cose nella sua vita: poeta, sceneggiatore, narratore, direttore editoriale, redattore di riviste culturali di primo piano come Paragone. I romanzi Gli occhiali d'oro, Il giardino dei Finzi-Contini, L'airone fanno parte del bagaglio di ogni persona che voglia dirsi colta. Vale anche per autori e testi scoperti o riscoperti da Bassani: Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e il ciclo dei Segreti di Milano di Giovanni Testori. Nonostante fosse un uomo, si sarà capito, molto impegnato, Bassani trovò il tempo per combattere le battaglie ambientali e di diventare presidente di Italia Nostra dal 1965 al 1980. Italia Nostra si proponeva, nel campo della salvaguardia di «surrogare, in certo senso, lo Stato laddove è, come spesso accade, carente e lacunoso».
Gli scritti sono una miniera di spunti. Si possono accettare o controbattere ma senz'altro impongono di porsi certi problemi e offrono soluzioni per niente scontate. Il punto di partenza è questo: «La natura e la storia, in Italia, sono così tanto apparentate fra loro che sarebbe impossibile separarle. Il territorio nella sua configurazione naturale è praticamente inesistente; nel tempo, in tutto il Paese, la natura è stata rimodellata o quanto meno segnata dal lavoro dell'uomo». Non esiste quindi un'epoca dell'oro e cade subito una pregiudiziale: lo sviluppo economico non può essere arrestato. Però deve essere indirizzato e non alterare il miracoloso equilibrio tra natura e intervento umano. Quindi niente speculazione edilizia; costruzione delle industrie inquinanti lontano dalle aree vitali; maggiore riflessione su cosa comporti in termini di infrastrutture l'accresciuta velocità dei trasporti. L'equilibrio, scrive Bassani, è fragile. Per il lettore è inevitabile pensare agli sconquassi di una natura che sembra selvaggia solo perché è stata soffocata dal cemento.
Chiaro il nesso tra patrimonio naturale e patrimonio artistico: «Noi sappiamo perfettamente che quando parliamo d'ambiente non possiamo disgiungere il problema dell'inquinamento dalla tutela delle nostre radici storiche». Chiaro anche il nesso tra salvaguardia e identità nazionale: «Viene detto: la crisi dell'Italia è soprattutto una crisi d'identità. E ciò spiega, da un lato, la distruzione sistematica che del territorio nazionale è stata compiuta in questi ultimi trent'anni, e, dall'altro lato, la riluttanza degli italiani a smetterla di vivere dilapidando un patrimonio di importanza ineguagliabile». Il territorio è espressione della natura, certo, ma soprattutto della nostra cultura. Attentare alla salute del territorio equivale a cancellare l' identità italiana. Un po' alla volta. Fino a quando non resterà niente. Altrettanta attenzione è riservata ai centri storici: «Ci rendiamo perfettamente conto, tuttavia, che considerare i centri storici come puri oggetti d'arte sarebbe un errore: un errore quasi altrettanto fatale come sarebbe quello di distruggerli». È necessario intervenire per restaurare. In quanto ai monumenti sgraditi, come quelli d'epoca fascista, abbatterli, per fingere che il Regime non sia esistito, è un atto di vandalismo.
Infine, un ampio capitolo è dedicato da Bassani alla città di Roma. Apprendiamo innanzi tutto che i problemi di cui sentiamo parlare, dalle buche alla raccolta del pattume, erano già presenti nel 1970, data dell'intervento dello scrittore. Bassani però tira fuori una teoria particolare: «Il centenario di Roma capitale viene a sottolineare la più grave contraddizione del mondo occidentale, cioè la mancata integrazione di Roma nello Stato unitario dopo il 1870». È un paradosso però spiega alcune cose: «Roma è un mondo a sé. Non ha un proprietario, o forse ne ha troppi. Nessuno comunque se ne assume la responsabilità: le finanze del comune si trovano in condizioni disastrose, il piano regolatore è in larga misura inoperante, l'abusivismo edilizio non conosce più ostacoli e divora ogni area vere.
Il traffico scoppia; alla metropolitana si lavora, con scarsi risultati da anni. Il patrimonio artistico e naturale della città è in rovina». Passano i decenni e nulla cambia in questo Paese che non conosce la sua cultura.
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