Film manifesto? In parte. Di denuncia? Anche. Un dovere civile? Così lo considerano regista e cast. Un titolo già in odore di polemiche? Di certo. Un bel film? Sulla mia pelle, la pellicola di Alessio Cremonini sul «caso Cucchi» che ieri ha aperto la sezione Orizzonti qui a Venezia, è più che altro un film necessario (sette minuti di lacrime e applausi alla proiezione ufficiale).
Al netto della bravura del protagonista, un irriconoscibile e applauditissimo Alessandro Borghi nella parte di Stefano Cucchi, morto nel 2009 «non per cause naturali» (certo non «per una caduta dalle scale») mentre era detenuto nel reparto di medicina protetta dell'ospedale Pertini di Roma, è soprattutto un film necessario. Attenzione: studiato e costruito sulle testimonianze e sulle carte, oltre 10mila pagine di verbali alla base della sceneggiatura, Sulla mia pelle non è una sentenza. Peraltro c'è un processo aperto, e il «presunto» pestaggio infatti non è mostrato sulla scena. Ma è un atto dovuto. Dà voce (e soprattutto corpo: martoriato, emaciato, sofferente; un film fatto di luci livide e di ecchimosi che parlano) all'unica persona che non ha mai parlato, cioè la vittima. Stefano Cucchi. Racconta i sette giorni di calvario che separano il suo arresto da una morte «inspiegabile». E soprattutto mette in croce un sistema, cioè il Sistema, e non solo carcerario, italiano. «Stefano viene a contatto con 140 persone tra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri ha detto il regista - e pochissimi hanno intuito il dramma che stava vivendo». Nessuno parla, al massimo cerca di discolpare se stesso.
E alla fine ne escono male tutti. I Carabinieri («Non ci hanno aiutato minimamente durante la produzione del film, abbiamo dovuto ricostruire tutto, ci hanno perfino negato i permessi per filmare gli esterni del carcere di Regina Coeli, dove invece le troupe televisive hanno accesso»), gli avvocati (letteralmente inesistenti), giudici e pm (sono delle sfingi). L'aspetto più shockante del film duro, claustrofobico, angosciante: e il fatto che prima ancora di entrare in sala la cronaca ci abbia già detto come andrà a finire, non smussa di un fotogramma la drammaticità del racconto - è proprio il fatto che chiunque si sia trovato davanti alla storia di Cucchi si sia voltato dall'altra parte. Eppure bastava guadarlo in faccia, ascoltare i suoi rantoli (e Alessandro Borghi è identico al «prigioniero» che interpreta, non solo perché è dimagrito 18 chili, ma perché le loro voci sono completamente sovrapponibili, come svela sui titoli di cosa l'audio originale di una dichiarazione in aula di Stefano Cucchi). Ma nessuno allora ha parlato.
E così parlano altri, oggi. Parla la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria (interpretata da Jasmine Trinca, è l'icona della vicenda, mentre ci getta in faccia la gigantografia del cadavere del fratello sul lettino autoptico), la quale da una parte dedica polemicamente il film al ministro dell'Interno Matteo Salvini, e dall'altra si è commossa (ri)vedendo ieri il film qui al Lido: all'attore protagonista Alessandro Cucchi ha detto: «Io non so come tu ci sia riuscito, ma sei uguale a Stefano». Parla il regista: «Non è il cinema, ma la magistratura che deve condannare. Quello che è certo, e noi lo abbiamo racconta, è che c'è qualcosa che non ha funzionato allora, e non funziona ancora oggi: Stefano Cucchi è solo uno dei 176 morti in carcere quell'anno, il 2009. Noi abbiamo raccontato una storia. Ma dietro ce ne sono tante altre, uguali». E ne parleranno coloro che vedranno il film, che richiama tutti noi alle nostre (ir)responsabilità.
Film di poche parole (Sulla mia pelle vuole opporsi alla più grande delle ingiustizie, il silenzio), molto misurato (non è un film «cattivo», ma impietoso: che è diverso), e che pone una domanda precisa (come mai un cittadino italiano, colpevole, perché è in flagranza di reato, di avere 20 grammi di hashish addosso, viene arrestato, ma dopo sei giorni muore mentre è nel carcere di un ospedale?), Sulla mia pelle è il primo film della Mostra di Venezia a fare discutere. Qui al festival. Ma lontano dal Lido, dove andrà? Uscirà il 12 settembre, su Netflix (venduto a 190 Paesi, e doppiato in inglese) e contemporaneamente, cosa che ha fatto arrabbiare gli esercenti, in una trentina di sale.
«Molti hanno da subito rifiutato di prenderlo perché contrari alla logica della contemporaneità su altre piattaforme», ha spiegato il produttore Andrea Occhipinti. E così è già servita anche la seconda polemica. E in questo caso non solo italiana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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