Qui e là e poi là ancora. Il bello di Franco Battiato è che non riesci a seguirlo. Ieri è uscito il suo disco dal vivo con l'icona di culto Antony Hegarty di Antony and the Johnsons, sabato sarà in Nepal ma nel frattempo tiene concerti con un ensamble italian-mediorientale mentre il 29 al Torino Film Festival presentano in anteprima il film Temporary road, (una) vita di Franco Battiato. Sessantotto anni. Cinquanta di carriera. Inarrestabile. Però poi lui ti spiazza così: «Se devo esser sincero, la mia felicità sarebbe di rimanermene sempre chiuso in casa». Il fondamento dell'arte, dopotutto, è il nomadismo degli intenti.
Battiato scusi, si fermi un po', giusto per parlare del suo album dal vivo.
«Bello il titolo vero?».
Del suo veloce volo.
«Che poi è canzone che Antony ed io avevamo registrato in Fleurs 2. Titolo ideale anche per questo disco registrato all'Arena di Verona neanche tre mesi fa con la Filarmonica Toscanini. Lei vuol sapere come è nato il progetto, vero?».
Vero.
«Lui ed io ci siamo conosciuti parecchi anni fa, è venuto a casa mia, abbiamo scoperto di avere molte cose in comune. Quando mi hanno proposto una serata all'Arena, mi sono detto: ora chiamo Antony, lui è la persona giusta».
In effetti nel disco cantante le sue canzoni come la sensuale Cripple and the starfish. Ma anche i classici di Battiato tipo La cura o Bandiera bianca.
«Dal vivo abbiamo iniziato con le sue, poi sono venute le mie. Ma credo che sembrino tutte declinazioni della stessa sensibilità. In fondo non ci separa nulla e ci unisce la musica. È un grande dono».
Per di più cantate pure un semi classico dei Rolling Stones.
«As tears go by».
Uno dei primi brani scritti da Mick Jagger e Keith Richards. La prima a interpretarla fu Marianne Faithfull.
«Antony mi ha mandato un elenco delle cover che avrebbe voluto cantare. Io ho scelto questa dei Rolling Stones, che tra l'altro è un brano bellissimo. E l'abbiamo interpretata con una piccola stranezza».
Quale?
«Lui ha cantato la sua parte senza rispettare neanche una nota della partitura originale. Io invece l'ho rispettata tutta. E quando mi faceva da controcanto, l'ho quasi obbligato a rispettare i Rolling Stones: e quindi cantava secondo le regole».
Lei che rispetta le regole.
«Con le mie, sono implacabile».
Non sarà facile farlo anche durante i concerti di «Diwan, l'essenza del reale» che sta tenendo in questi giorni (stasera a Trieste, ad esempio).
«Siamo quattro italiani e cinque mediorientali con una scaletta che mescola le nostre due culture. Per me è come se fosse una piccola vacanza, un tè insieme con amici. Ma sta funzionando bene e me ne accorgo dagli applausi che riceviamo. D'altronde l'avevamo già fatto due anni fa e ce l'hanno richiesto a gran voce. Sa, il giudizio del pubblico è spesso un metro infallibile per valutare il risultato di un'opera».
Sarà in vacanza ma ha sempre gli amplificatori accesi.
«Eppure per me il silenzio è la cosa più fertile».
Intanto ora se ne va.
«Il 30 parto per Katmandu, la capitale del Nepal. Vado a intervistare tre Lama per un documentario sulla morte: sono i tibetani quelli che hanno le idee più chiare su cosa succede agli uomini subito dopo la fine della vita terrena».
Scusi, ma chi glielo ha commissionato?
«Un operaio siciliano vicino alla pensione».
Non sembra neanche vero.
«Mi ha dato un budget di 50mila euro e io ho detto subito di sì».
Ma è un divertissement oppure andrà in onda su qualche canale o addirittura al cinema?
«Forse su Sky Arte però non abbiamo ancora deciso. Di certo mi piacerebbe presentarlo in qualche evento tipo il Festival di Cannes».
Cannes arriverà più o meno in concomitanza con
le elezioni europee.«Intanto credo che io mi unirò ai 35 milioni di italiani che non votano. E non voterò neanche alla primarie del Pd. È ridicolo andare a votare se non c'è nessuno che ti rappresenti. Ridicolo».
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