Sanremo - Perdere fa male. Anche al buonista (ops, non chiamatelo così se no si innervosice) Fabio Fazio. Tanto che, alla terza domanda sul flop di ascolti della seconda serata del Festival, quasi perde le staffe, addirittura per un pelo gli scappa una parolaccia... Lui così educato, così attento a non usare termini cattivi, così desideroso di «cogliere la bellezza del mondo», così «fiero dei suoi trent'anni di carriera» ieri si è dovuto schiantare su una realtà dolorosa: la curva in picchiata dell'Auditel. I dati di mercoledì parlano chiaro: è stata la terza peggiore seconda serata da quando esiste l'Auditel, meno avevano fatto solo Baudo nel 2008 e Simona Ventura nel 2004 (che, ricordiamo, però aveva dovuto realizzare un Festival senza big della canzone). La media di share è stata del 34% (33,95 per la precisione) e quella di spettatori di 7.711.000: meno 12 punti rispetto alla prima sera di quest'anno, e soprattutto meno 9 per cento rispetto alla seconda serata dello scorso anno. Dunque, risultati che mettono seriamente in discussione la complessiva riuscita di questo Festival nonché i conti economici che incautamente il responsabile di Raiuno aveva sbandierato come super positivi prima che si aprisse il sipario.
Il direttore Leone e Fazio ci hanno provato, ieri in conferenza stampa, a trovare giustificazioni, molte, tranne una: forse non abbiamo azzeccato le scelte editoriali giuste, forse abbiamo realizzato uno show noioso, troppo nostalgico, troppo rivolto al passato (maestro Manzi, gemelle Kessler, Franca Valeri e Baglioni), no, questi «mea culpa», non si sono sentiti. Ma si è tentato di addossare le responsabilità ad altri fattori, al «quadro completamente diverso della tv» e soprattutto alla concorrenza: la partita su Canale 5 Milan-Atletico Madrid che, in effetti, ha fatto un buon ascolto: il 18% di share. Insomma, il match si è portato via una buona fetta di pubblico maschile, ma questa non può essere l'unica motivazione, perché se uno show è fortemente attraente, può far fronte anche al calcio. Del resto molti altri Festival, anche quello dello scorso anno, hanno avuto come concorrenti partite o altri eventi importanti. E Fazio non ci pensa neppure a cospargersi il capo di ceneri: «Rivendico - ha detto scandendo le parole - il rischio che mi sono assunto di presentarmi il secondo anno consecutivo con la stessa coppia di conduzione. Rivendico il diritto di non dover dimostrare niente dopo trent'anni di carriera. Rivendico la scelta di canzoni contemporanee e non di un cast più popolare e riconoscibile. Rivendico la nostalgia, che è stato il nostro modo subliminale di raccontare i sessant'anni della Rai. E credo che ci siano stati momenti molto belli». Ma quando gli si fa notare che, invece, forse a non funzionare più in questa Italia in crisi è il modello iper buonista a cui lui è abbonato, allora perde la pazienza: «Mi sono rotto le palle - sbotta - di sentire questa parola, buonista. In un Paese costruito sulla rabbia, interpretare la buona educazione come buonismo è un'istigazione a delinquere». E, a chi insiste chiedendo se dopo questi risultati se la sente di prendere in considerazione la proposta già arrivata dalla Rai di condurre anche la prossima edizione, glissa ironicamente: «Sono già in vestaglia adesso».
In effetti, su una cosa ha ragione: i conti si fanno alla fine. Però, se le sorti del Festival non risaliranno, saranno dolori. Soprattutto dal punto di vista degli incassi pubblicitari. Leone aveva già venduto la pelle dell'orso: gli incassi degli spot - aveva annunciato trionfante - sono stati due milioni in più, 20, rispetto alle spese: 18. Ma se la media degli ascolti delle cinque serate non raggiungerà il 45 per cento promesso da Rai Pubblicità agli investitori, bisognerà ritoccare quelle cifre al ribasso. In questi casi, non si restituiscono soldi, ma si compensano gli investitori con altri spazi pubblicitari, che significa comunque minori introiti, i quali a loro volta incidono sul bilancio annuale. Bilancio già di per sé penalizzato dalla crisi della pubblicità.
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