Autobiografia e storytelling Luperini legge il XXI secolo

Andrea Caterini

Sarà che siamo in un'epoca tanto priva di idee che se dovessi darle un nome la chiamerei l'età del pongo dove quello che si modella non è una materia prima (il marmo, il bronzo, il ferro, la lingua) ma qualcosa di derivato, ottenuto in laboratorio; qualcosa che, lavorato con cura, assume l'aspetto di eppure non è. Quello che ci sembra marmo, bronzo, ferro, quella che ci sembra una lingua e anche uno stile, non sono che oggetti plastificati. Dare un ordine al presente, storicizzare delle forme, dei linguaggi in atto è davvero complicato, specie in letteratura, che, dal postmoderno in poi, ha utilizzato forme e linguaggi extraletterari tanto diversi da rendere improbabile distinguere cosa sia letterario e cosa no. A mettere, per così dire, le cose a posto ci ha provato Romano Luperini in Dal modernismo a oggi. Storicizzare la contemporaneità (Carocci, pagg. 152, euro 16), partendo proprio dal concetto di moderno (quella modernità letteraria che collochiamo nei primi tre decenni del Novecento) fino ad arrivare a Gomorra di Saviano e agli ultimi premi Strega.

Nessuna pretesa di esaustività in Luperini, che sa fin troppo bene quanto ogni storicizzazione del contemporaneo non può che mettere in evidenza le assenze (ma per i presenti il capitolo sui racconti di Tozzi e il paragrafo sull'Esame di coscienza di un letterato di Serra brillano di una lucentezza critica notevolissima; tanto da farci affermare che le parti interpretative dei testi nell'economia del libro sono decisamente superiori a quelle teoriche).

Se la modernità ha alla base almeno due oggettivi momenti di stravolgimento la Grande guerra e la psicanalisi che hanno cambiato letteralmente l'uomo (come già scriveva Virginia Woolf in un suo saggio), la letteratura contemporanea, «diventata eteronoma», perché «i mutamenti tecnologici, economici e sociali in corso ne hanno dissolto i confini», ha preso, secondo il critico, due strade, quella dell'autobiografia documentaria (da Gomorra fino a La prima verità di Simona Vinci) e quella dello storytelling, inteso come un raccontare per raccontare (dalla Ferrante alla Ciabatti), «in cui, come nella realtà dei nostri giorni, tutto è quello che è, solo quello che è, senza sottofondi o sovrasensi possibili».

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