Autoironia, risate e telefonate sui Vangeli. L'uomo dietro l'artista

Da un'intervista all'amicizia col "maestro" (che non voleva farsi chiamare così)

Autoironia, risate e telefonate sui Vangeli. L'uomo dietro l'artista

Dal settembre del 2009 ho avuto la possibilità e la fortuna di frequentare Franco Battiato, diventandone amico. L'occasione di conoscerlo me la offrì una bella rivista musicale dalla vita editoriale purtroppo breve, Musica leggera. C'era l'intenzione di intervistare Battiato e io, che già da tempo ne ero un fervente cultore, mi sono subito offerto di occuparmene. Venne così fissato un appuntamento nella casa milanese di Franco, in zona Porta Ticinese, in un orario abbastanza assurdo, le otto del mattino. Entro le nove, infatti, Battiato doveva partire alla volta di Marzabotto per vedersi con il presbitero e missionario cattolico Arturo Paoli. Il giorno prima dell'incontro presi, da Roma, il treno per Milano, in modo da farmi trovare puntuale l'indomani. Con me c'era Ludovica, la mia fidanzata di allora e mia attuale moglie, desiderosa di partecipare ma terribilmente intimidita dal carisma e dalla fama di Battiato. Con buon anticipo, il giorno stabilito, ci piazzammo davanti al portone. Giunte le otto, suonammo e fummo accolti nell'appartamento. Franco era in piedi nell'ampio salone, intento a radunare degli oggetti che gli sarebbero serviti per l'imminente trasferta in Emilia. Ludovica e io fummo invitati ad entrare nella stanza e, pervasi di soggezione, ci presentammo. Ebbe così inizio una chiacchierata che durò di fatto molto poco, una quarantina di minuti, ma che bastò per due cose fondamentali: raccogliere materiale sufficiente per una buona intervista e, soprattutto, persuadere Battiato che da lì in avanti lui e io saremmo dovuti restare in contatto. La mia proposta di realizzare un documentario su di lui (progetto che, con il collega Mario Tani, vagheggiavo da tempo) lo trovò difatti insperatamente favorevole. Il motivo non l'ho mai compreso, ma è forse racchiuso nelle parole che mi disse al momento dei saluti: «Ho capito che tipo sei».

Da quel momento è cominciata una frequentazione che si è fatta via via più continua e mi ha permesso, per quanto consentito dalla sua riservatezza estrema, di condividere con Battiato alcuni momenti privati. La prima cosa che voglio dire è che Franco era tutto meno che un musone. Era anzi decisamente portato all'ironia, un'ironia tutta sua, talora ingenua, ma piena di leggerezza. Una volta, eravamo allo stadio Brianteo di Monza prima delle prove di un suo concerto che avremmo dovuto riprendere per il documentario, Franco, avendomi visto, aprì il finestrino della macchina che lo stava portando verso il palco e mi disse: «Oh, ma lo sai che tra un po' qui fanno un concerto?». Io gli risposi: «Sì, ma pare che il cantante sia scarso», e lui rise di gusto perché, pur avendo giustamente un'opinione molto alta di sé, conosceva l'autoironia. Un altro episodio che mi permetto di raccontare, adesso che Franco ci ha purtroppo lasciato, si svolse a Cosenza, dove nel 2011 Battiato fece debuttare la sua opera Telesio, dedicata al celebre filosofo cosentino. Andai a pranzo con lui e, al nostro tavolo, c'era anche Willem Dafoe con la moglie Giada Colagrande, a sua volta amica di Franco. Sia all'andata che al ritorno, misteriosamente, si presentò il medesimo tassista, un individuo pittoresco che fece sedere accanto a sé Dafoe senza minimamente riconoscerlo e coprendo invece di complimenti Franco, che occupava con me, mia moglie e Giada Colagrande il sedile posteriore. A un certo punto, addirittura, l'uomo mollò nelle mani di Dafoe un ciancicatissimo Tuttocittà dicendogli qualcosa come «Scusi, me lo tiene un momento che non so dove metterlo?». Battiato se la rideva sotto i baffi.

Ma Franco era anche capace di dedicarti il suo tempo e le sue conoscenze. Un pomeriggio mi chiamò per spiegarmi in quali passi del Vangelo, a suo parere, fosse chiaro che Gesù parla di reincarnazione. Mi tenne al telefono una buona mezzora.

In generale, credo che Battiato abbia apprezzato sin dall'inizio la mia scelta di rapportarmi a lui in maniera paritetica, senza le piaggerie e le blandizie non infrequenti nel suo entourage.

Per esempio non mi sono mai rivolto a lui con l'appellativo di «maestro». Era chiaro che lo ammirassi profondamente, dunque non c'era bisogno (lo sapeva lui e lo sapevo io) di troppe cerimonie. Mi mancherà molto.

* regista del film «Temporary Road. (una) Vita di Franco Battiato» (2013)

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