Quel "Bad Boy" di Jim Thompson si racconta

Quel "Bad Boy" di Jim Thompson si racconta

Quando una serie di ictus privò Jim Thompson della facoltà di parlare, deve essersi sentito come se fosse sceso nel tipo di inferno personale da incubo e terrificante che riservava ad alcuni dei personaggi dei suoi romanzi. Costretto a letto, impotente e spinto dalla cruda consapevolezza che non sarebbe più stato in grado di scrivere, Thompson decise di smettere di mangiare e morì di fame. Era l'aprile del 1977. Thompson aveva settant'anni. Ma sembrava più vecchio, molto più vecchio. Per molti che lo conoscevano era incredibile che fosse vissuto così a lungo.

Le sue esperienze di vita le ha raccontate lui stesso nei romanzi Bad Boy e Roughneck, ancora inedito in Italia ma di prossima pubblicazione per HarperCollins che sta riproponendo tutti i suoi libri. In Bad Boy (HarperCollins, pagg. 297, euro 15; traduzione di Federica Angelini) Jim Thompson racconta la miseria dell'infanzia, un padre sceriffo di contea corrotto che costrinse la famiglia a non stabilirsi mai a lungo in nessun luogo. Il giovane Jim iniziò ad accettare lavori di ogni tipo per sostenere la famiglia (il padre era scappato in Messico): ha fatto il venditore di penne stilografiche, la maschera in un cinema, lo stenografo, il giornalista locale, l'operaio nei campi petroliferi, ma fu il suo lavoro da portiere di notte di un hotel a fornirgli informazioni per molti dei memorabili romanzi criminali che avrebbe scritto in seguito. Diventò esperto nel procurare ragazze, alcol e droga alla clientela e chiamava per nome famigerati gangster. Già da ragazzino, come racconta, era dipendente dall'alcool e sin da giovanissimo aveva bottiglie nascoste in tutta la casa, abusava di cocaina e fumava 60 sigarette al giorno.

E se Roughneck non è un libro riuscitissimo, Bad Boy, invece, ci fa comprendere come sia diventato uno dei più grandi scrittori del 900 americano. Ha descritto prima di tutti l'America sconfitta dal proprio stesso sogno, le macerie morali di uomini senza speranza e senza possibilità di riscatto. Nei suoi oltre 30 romanzi, scritti tra la fine degli anni Quaranta e la metà dei Cinquanta, ha raccontato il male che vive dentro di noi e che in molti prende il sopravvento: di tutta la narrativa crime e noir di quei tempi (da Dashiell Hammett a Raymond Chandler) la sua è stata la più cruda, straziante e incomparabilmente intensa. Definito il «Dostoevskij dei supermercati» è stato il primo ad intuire un'America in bancarotta morale davanti alla nuova dittatura consumistica, quella dei centri commerciali, raccontandola con la solennità della tragedia greca.

Oggi è l'autore preferito di Bruce Springsteen e di Quentin Tarantino, Stephen King lo venera scrivendo che «è stato il vero ribelle americano: prima di Kerouac, prima di Ginsberg, prima di Marlon Brando ne Il selvaggio».

Da molti suoi libri sono stati tratti film di culto come Getaway di Sam Peckinpah, Colpo di Spugna di Bernard Tavernier, Rischiose abitudini di Stephen Frears ma soprattutto è stato co-sceneggiatore di Stanley Kubrick: il regista inglese ha tratto un film dal suo romanzo Rapina a mano armata e insieme hanno scritto Orizzonti di gloria. Quegli stessi orizzonti che Jim Thompson non ha fatto in tempo a vivere in vita, escluso dal mondo per i suoi eccessi, ma che oggi lo consacrano alla gloria degli scrittori più letti di tutti i tempi.

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