"The Batman", un monumento lugubre alla fragilità e alla speranza

Un cinecomic autoriale, che è anche un thriller complesso e toccante, in cui a una messa in scena magnificente e realistica si accompagna un’attenta disamina interiore dei personaggi

"The Batman", un monumento lugubre alla fragilità e alla speranza

“The Batman”, il nuovo capitolo dedicato all’uomo pipistrello, è firmato da Matt Reeves e destinato a restare come uno dei cinecomic più potenti visti fino ad oggi. Il regista si inserisce infatti nel solco tracciato da Todd Philips col suo “Joker”, rendendo l’adattamento cinematografico dei fumetti di Bob Kane un’esperienza autoriale. La scelta di distanziarsi dalla spettacolarità pop e cacofonica dei titoli Marvel è vincente. Nessuna traccia di disimpegno fine a se stesso, il franchise targato DC Films e Warner Bros. ha la gravitas del “Cavaliere Oscuro” di Nolan e la magnificenza gotica di Burton, oltre a una potente complessità psicologica.

“The Batman” è un reboot che non intende mostrare le origini della maschera, bensì la nascita dell’identità morale di chi ci sta sotto.

L’uomo pipistrello nell’incipit è infatti già tale da un paio d'anni ma è una creatura con traumi non elaborati alle spalle, che si identifica con la vendetta e cova rabbia e risentimento. La maschera è dunque la valvola di sfogo di un giovane Bruce Wayne (Robert Pattinson) che vive in autoisolamento, depresso e chino su un dolore che non passa. Non ha ancora raccolto l’eredità filantropica dei genitori, né ha imparato a gestire la loro perdita. Ancora lontano dal partorire il proprio Sé, si trova ad affrontare il pericolo enorme rappresentato dall'Enigmista, un serial killer che prende di mira illustri cittadini.

“The Batman”, primo capitolo di una trilogia, si configura come una detective story purissima, in cui ogni omicidio è un rebus ma anche la tappa di una sorta di macabra caccia al tesoro.

Rispettoso del materiale d'origine, il regista Matt Reeves esegue la riscrittura narrativa ed estetica della tradizione, inondandola di epica noir e realismo introspettivo.

Dal punto di vista visivo, impressiona come si sia riusciti a dare consistenza reale alla Gotham City dei fumetti: la città del film somiglia a grandi metropoli statunitensi eppure ha una sua riconoscibile individualità. La fotografia, con una palette ridotta di colori scuri, evoca l’anima di un’urbe pericolosa, corrotta e marcia fin dal suo cuore politico e finanziario.

La regia ha intuizioni visionarie ed efficaci, Reeves mischia ispirazioni diverse e si diverte con le inquadrature (in una riproduce anche un celebre quadro di Hopper). La pioggia incessante non lava via l’oscurità, proprio come accadeva ne “Il Corvo” di Alex Proyas, mentre i vari e criptici indizi lasciati dal villain sembrano citazioni a “Zodiac”, “Seven” e “Saw”.

Approccio realistico, intreccio labirintico e più livelli di lettura. Ecco il paradosso: siamo di fronte a un film dalla sceneggiatura a orologeria che avrebbe funzionato anche con un detective qualsiasi come protagonista, senza tirare in ballo Batman e tutto il suo universo.

Naturalmente però, in tre ore di tempo, attorno all’intrigante e violenta indagine, viene tessuto benissimo il tappeto di personaggi principali e secondari.

Ottima la Selina di Zoe Kravitz, il cui fascino va ben oltre il volto intrigante e le movenze sinuose. Vulnerabile e mossa da un insaziabile bisogno di vendetta, ha l’astuzia e la scaltrezza di chi è sopravvissuto a una vita randagia. Riuscitissimi anche Carmine Falcone di John Turturro e il Pinguino di un irriconoscibile Colin Farrell.

Tutti nel film sono tragicamente umani e nessuno completamente innocente, perché nel momento stesso in cui una persona nutre desiderio di pareggiare i conti in maniera efferata, sporca la propria moralità.

Robert Pattinson, esangue e vampiresco come sempre, è tenebroso e tormentato a dovere per il ruolo. Il suo principe dolente è ritratto in maniera stratificata pur conservando l’espressività trattenuta di chi vive il dolore come una paralisi. Il vero Batman nasce solo nel momento in cui emerge una nuova consapevolezza: la differenza si fa mettendosi al livello di chi è in difficoltà, non vendicandolo ma diventando per lui un faro di speranza. Salvando la fede altrui nel futuro, salviamo noi stessi.

“The Batman” colpisce nel segno a livello emotivo perché mostra i rischi della nostra epoca, racconta come il caos generato da promesse disattese e proclami di rinnovamento fasulli possa finire col diventare una minaccia alla democrazia, di una lotta di classe che può diventare isteria di massa laddove il collante sociale sia la rabbia, infine di quanto sia facile per la collettività trovarsi ostaggio anche di un solo squilibrato quando di talento.

Reeves orchestra un Batman che resterà anche grazie a una ineguagliabile colonna sonora, in cui le solenni partiture di Michael Giacchino sfumano ora nell’uso nudo e straziante di canzoni dei Nirvana, ora nella potenza malinconica dell’Ave Maria di

Shubert.

Tra momenti introspettivi, violenza cupa, seducenti rivelazioni e un’ultima ora di sequenze d’azione, “The Batman” saprà rapirvi senza che guardiate l’orologio e vi resterà addosso molto più a lungo della sua durata.

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