Le battaglie profetiche di Roberta Tatafiore contro gli (in)tolleranti e i bigotti di sinistra

Femminista della prima ora, capiva le ragioni altrui. Con coraggio e coerenza

Le battaglie profetiche di Roberta Tatafiore contro gli (in)tolleranti e i bigotti di sinistra

In giorni segnati da tese contrapposizioni in tema di valori (soprattutto per il Congresso sulla famiglia svoltosi a Verona), sono mancate le voci controcorrente, capaci di superare gli schemi, guardare alla realtà, favorire un dialogo sincero e produttivo. Anche per questo merita di essere ricordata Roberta Tatafiore, che si tolse la vita - era malata di un male incurabile - il 14 aprile 2009.

Tatafiore fu una femminista della prima ora, che fin da giovane si schierò con quella sinistra che negli anni '60 iniziava a prestare attenzione alle questioni «di genere». Nacque così una rivista, Lucciola, che diresse assieme a Maria Adelaide Teodori e che iniziò a trattare in modo nuovo l'universo della prostituzione. Questi temi resteranno sempre al centro della sua attenzione, ma con il tempo Tatafiore avvertì come la sua parte politica e culturale - era stata una firma stabile del manifesto, dell'Unità, di Noi donne - tendesse ad assumere atteggiamenti illiberali, volti a orientare comportamenti e valori. Avvicinando la vita delle donne di strada, comprese che c'è ben poco rispetto nel considerare le prostitute sempre e solo come vittime. In vari casi abbiamo a che fare con scelte di vita: discutibili, ma volontariamente adottate. Iniziò quindi una riflessione critica sul femminismo che la portò lontana dalla sinistra e che la fece pure collaborare con questo giornale, oltre che con altre testate assai distanti dalla cultura «progressista». Arriverà perfino ad abbracciare le tesi della libertaria statunitense Wendy McElroy, di cui curò l'edizione italiana di un libro. Quando l'Afghanistan precipitò nel caos sposò, ad esempio, la sua proposta di far sì che le donne afghane potessero disporre di un'arma: «non perché creino un esercito femminile in opposizione a quello degli uomini, o in appoggio a questa o quella fazione, ma per autodifesa personale. Per riconoscere loro il sacrosanto diritto pre-politico di difendere la proprietà della loro casa, del loro corpo, del corpo dei loro bambini e bambine, dei loro vecchi».

Da cosa venne questo cambiamento? Più di tutto, da un'idea forte di tolleranza e pluralismo, oltre che da un individualismo sempre più consapevole: perché la libertà può essere soltanto dei singoli. Per questo motivo si può sostenere che non si sarebbe di sicuro infilata nel coro di quanti hanno sparato ad alzo zero contro i congressisti di Verona. Non già perché condividesse molte delle idee difese in quella manifestazione, ma perché riteneva che ognuno ha diritto di esprimersi e che una società può crescere se è plurale e capace di far convivere le differenze. Soprattutto, Tatafiore aveva inteso quanto possano essere intolleranti i cosiddetti tolleranti, e come sia facile chiudere la bocca agli altri in nome di una versione deformata dell'autonomia personale. Capiva che il progetto d'imporre una visione della libertà era contraddittorio e intimamente repressivo.

Divenne «libertaria» perché comprese quanto la legislazione moderna sia un modo per espropriare ognuno dei propri diritti, imponendo norme con il pretesto di tutelare questo o quello. Aveva capito che nessun paternalismo può lasciare spazio all'altro e portare rispetto al prossimo. Non a caso quando nel '96 fu approvata una nuova legge sulla violenza sessuale, fu molto critica: contestò la procedibilità d'ufficio, secondo la quale qualcuno può denunciare anche contro la volontà della vittima stessa; e contestò la presenza delle organizzazioni femminili nel processo, sostenendo di non amare «le professioniste della solidarietà alle stuprate». La sua disanima su come si arrivò ad approvare quella che giudicò una bruttissima legge mette in evidenza la «dittatura del partito-delle-donne», trasversale e capace d'intimorire tutti ogni volta che s'inizia a parlare di taluni temi.

Con la sua storia personale e con i suoi interessi, si trovò spesso nella situazione di chi doveva far saltare gli

schemi. Aveva inteso, nel corso degli anni, che non esiste soltanto un bigottismo di destra, ma anche uno progressista, e che questo è in grado d'innamorarsi dello Stato e dei suoi dogmi quanto, e più, di quello conservatore.

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