È bello solo perché costa. La deriva finanziaria dell'arte

Angelo Crespi svela vizi e tic del mercato del contemporaneo che fino al 2019 valeva 60 miliardi di dollari. E ora rischia...

È bello solo perché costa. La deriva finanziaria dell'arte

Le opere d'arte contemporanee sono diventate simili ad azioni e al pari delle azioni, per essere scambiate con semplicità e velocemente, poiché la velocità degli scambi determina la crescita del prezzo, devono essere fungibili, cioè una equivalente all'altra. Di modo che salendo il prezzo di una, salga anche il prezzo delle altre. Consideriamo gli Spot Painting, i lavori a pois di Damien Hirst, di cui ne sono stati prodotti oltre un migliaio, tutti uguali, solo differenti nei colori e nelle dimensioni, ebbene il mio desiderio di possesso viene appagato da uno qualsiasi di essi, non ho preferenze, quello che mi interessa è la firma di Hirst perché so benissimo che sono stati dipinti dagli assistenti e anche se fossero stampati in digitale il valore non cambierebbe. Mi interessa il logo, o eventualmente il loro valore, cioè il prezzo, e infine il potenziale ricavo che ne potrei fare.

Questa deriva finanziaria ha aspetti comici, se pensiamo che una buona parte delle opere comprate immaginando potenziali ricavi non vengono neppure ritirate dalle gallerie, o se ritirate sono custodite negli storage dei porti franchi, quasi sempre in Svizzera. E capita perfino che quando vengono rivendute, anche il successivo proprietario non ne cambi il luogo di custodia. In ogni caso, finché dura il marchio Hirst, so che non avrò difficoltà a vendere quell'opera essendo uguale alle altre e neppure avrò dubbi sul prezzo poiché la mia varrà, in ragione delle dimensioni, come le altre e se avrò avuto la fortuna di vedere crescere la capitalizzazione della società Hirst, parallelamente sarà cresciuto nella stessa percentuale anche il valore della mia azione-opera.

Si stima che il numero di milionari nel mondo abbia raggiunto la cifra di 36 milioni. Il 10% dei cosiddetti High Net Worth Individuals detiene l'88% della ricchezza mondiale. Il 35% di loro colleziona arte, anche con fini speculativi. Secondo uno studio recente, si pensa che questo segmento di popolazione, in ogni caso, aumenterà del 43% entro il 2026 e il relativo patrimonio, che nel 2016 ammontava a 1.600 miliardi di dollari, lieviterà a 2.700 miliardi entro il 2026. Anche i miliardari, gli Ultra High Net Worth Individuals, continuano a crescere in modo vertiginoso. Nonostante le incertezze economiche e la crisi, la popolazione di individui dotati di un patrimonio di almeno 30 milioni di dollari è salita del +12,9% nel corso del 2017 (+3,5% sul 2016). Ed anzi, con la pandemia alcuni super ricchi hanno visto aumentare il proprio patrimonio. È in atto una sorta di concentrazione del denaro nelle mani di poche persone e un conseguente della disparità tra la popolazione: in particolare la Banca centrale americana ha calcolato che nel 2020 le 50 persone più ricche d'America detengono una ricchezza (circa 2 trilioni di dollari) pari a quella della metà più povera di quel Paese (165 milioni di individui). I ricchissimi possono dunque spendere milioni in opere d'arte per assolvere un bisogno di autorealizzazione o per accrescere ulteriormente il proprio status.

I nuovi ricchi hanno infatti capito che l'arte, specie quella contemporanea, è un ascensore sociale, permette loro di entrare in circuiti riservati, di accreditarsi immantinente in un contesto culturale. E l'accreditamento è ancora più veloce se il prezzo pagato è esuberante e se l'opera è assolutamente insensata, tanto che il collezionista possa porsi in una posizione privilegiata rispetto agli altri suoi pari, anch'essi nouveau riche. Il prezzo è fondamentale perché dice subito della ricchezza del collezionista. Ma ancor più di uno yatch o di un'automobile, l'opera se incomprensibile agli altri come tanta arte concettuale, ingenera l'idea che il collezionista sia entrato davvero in una sorta di setta di iniziati, in grado di comprendere il verbo del contemporaneo. L'arte contemporanea è una religione e consente con un semplice rito, cioè pagando, di convertirsi ad essa e farsi adepto.

Anche i piccoli investitori sembrano influenzati dalla febbre della speculazione, forse perché non conoscono il mercato e le concentrazioni esistenti, non hanno chiaro che oltre il 60% del mercato in termini di valore (più di 60 miliardi di dollari all'anno, fino al 2019) è prodotto solo dall'1% delle vendite. Ciò significa che il vero mercato è fatto da opere d'arte con un prezzo superiore a un milione di euro. Così fa sorridere quando il piccolo investitore si domanda che rendimento potrà avere il suo investimento in arte, volendo magari comprare un'opera che costa 5 o 10 mila euro. La risposta è zero, anzi si svaluterà fino allo zero, come succede al divano che dopo dieci anni devi smaltire pagando il robivecchi, o come le automobili che dopo un quinquennio devono essere rottamate e valgono solo in quanto sconto in previsione di un nuovo acquisto meno inquinante.

L'opera d'arte, però, non si consuma né si deteriora onde per cui almeno non ci sarà bisogno di rottamarla. Appendendola sul muro ogni giorno si stacca quello che gli economisti e i sociologi hanno definito «dividendo estetico». Se ho comprato una cosa bella, ogni giorno sarò felice del mio investimento perché la bellezza e l'arte danno senso alla nostra vita. Una vera opera d'arte non è mai circoscrivibile, non esaurisce mai il proprio senso, la luce diversa del mattino ne svela significati sempre nuovi. La bellezza dell'opera d'arte rimanda sempre a una bellezza più grande che ci sovrasta e che non possiamo cogliere se non nel frammento.

Ed è il potere dell'opera d'arte, mettere in moto questo rispecchiamento. L'arte concettuale, cioè l'arte contemporanea hard, invece invecchia perché i concetti invecchiano e, volendo prescindere dalla forma, essa è destinata irrimediabilmente a morire.

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