Del furore di aver libri. Così intitolava a metà Ottocento l'abate padovano Gaetano Volpi un suo libretto che portava per sottotitolo «Le Varie avvertenze utili e necessarie agli amatori de' buoni libri, disposte per vie d'alfabeto». Era il periodo dell'Enciclopedia, delle catalogazioni, dell'inclinazione a dare un ordine alle cose. È una tendenza che si avverte pure in Compro libri anche in grande quantità (Utet, pagg. 192, euro 16), dell'emiliano Giovanni Spadaccini, volume anch'esso dotato di un sottotitolo: «Taccuino di un libraio d'occasione». Sono passati due secoli e mezzo abbondanti, l'uno i libri li produceva, l'altro li vende, anzi li rivende in una libreria dell'usato a Reggio Emilia, dopo esserseli procurati là dove il furore è spesso quello altrui di sbarazzarsene.
Intendiamoci: Spadaccini è selettivo, addirittura discriminatorio. Potremmo spingerci a dire che non è un libraio davvero democratico, poiché lascia indietro parecchie cose, per esempio Bruno Vespa, Enzo Biagi, Arrigo Petacco, Marco Travaglio, Massimo Gramellini, Eugenio Scalfari, e tutte le inchieste giornalistiche sulle stragi, le catastrofi, il terrorismo, la cultura (o meglio, la lagna sul suo decadimento), e poi le tirate pensose dei professori contemporanei. E si capisce benissimo perché lo fa. È come se rifuggisse da tutto ciò che ha pretesa di essere attuale, cercando l'attualità in tutto quello che non passa di moda.
Il suo esercizio commerciale si chiama Libri Risorti, nome suggeritogli da uno scrittore dalla produzione oceanica come Antonio Moresco, e si approvvigiona alle fonti di quello che il tempo e gli uomini lasciano dietro di sé. Può esserci un garage da svuotare, scatoloni impolverati e ammuffiti da trascinare qua e là, o un appartamento lasciato in eredità e dove una vera biblioteca (cioè una collezione non scriteriata) è un capitale da monetizzare o un pezzo di anima da cui doversi separare con dolore. «Accumulare libri, per chi lo ha fatto davvero e in modo serio e illuso, è stato il modo principale di dare forma a un mondo, il proprio, e di plasmarlo pagina dopo pagina vedendolo crescere nella prospettiva di lasciare in eredità un arsenale di pensieri, di parole e di esempi», scrive Spadaccini, dichiarando di non voler cadere tuttavia nella trappola retorica della Cultura, che scatta là dove alla mancanza di idee e di passioni si sostituiscono la chiacchiera da aperitivo e da vecchi professori di scuola in mutande di lana.
Invece la conoscenza, cioè il tentativo di sfuggire al nulla cosmico, si fa tangibile nella forma libro che attraversa i millenni e fa da ponte fra i morti e i viventi, che pure presto saranno morti, ma molto prima dei libri. Alla fine, saranno morti anche i libri, i quali però nel frattempo dialogano fra loro, e con l'umanità che li conserva.
La vita dei libri, come spiega questo libraio atipico, che non è remainder né strettamente antiquario, non allestisce raccolte di ciarpame, ma nemmeno avvolge le sue proposte in un'atmosfera museale, è la vita che c'è anche fisicamente dentro i libri. Ecco perché in oltre dieci anni gli è capitato di trovare e raccogliere testimonianze dell'esistenza di chi quei volumi li ha posseduti: cartoline, biglietti del teatro, lettere, fiori appassiti, dediche, fotografie, biglietti da visita, banconote, figurine. Dalla polvere, e contigui a essi, a volte riemergono interi epistolari, vite già sepolte, ma che si sono raccontate l'un l'altra, magari nei tempi tragici delle guerre.
I libri sono pur sempre oggetti, ma oggetti intimi e legati a esperienze e circostanze personali, e non può sorprendere che ci sia chi li accumula senza avere il tempo di leggerli. Anche questo risponde a un criterio di fuga dal disfacimento entropico. Il libraio (e accanito lettore) Spadaccini si sofferma molto più sui suoi fornitori che sui suoi clienti. Forse perché a muoverlo è lo spirito della ricerca. Ha le idee chiare, su collane, editori, e naturalmente autori. Lui stesso si muove sul filo della contraddizione fra quello che deve vendere e quello che vorrebbe tenere. La concezione di biblioteca come testamento appare quando detta alla moglie Raffaella l'elenco dei titoli da conservare: Kafka, Beckett, Morselli, Thomas Bernhard, Erodoto, Dante, Melville, Adorno. E specifica le edizioni, le collane, quelli in lingua originale, quelli con le dediche.
Il suo intento è chiaro, ed è quello romantico e velleitario di chiunque ami i libri, che sia bibliofilo accanito (a un certo punto sbuca anche Marcello Dell'Utri, non nominato) o estimatore della lettura, o ricercatore di verità letterarie: congelare il tempo.
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