Boom d'ascolti di Don Matteo Il segreto? Infonde speranza

Al debutto stagionale, la serie di Raiuno, arrivata alla nona edizione, cattura ancora 8,5 milioni di spettatori. Un mix di candore e giallo

Boom d'ascolti di Don Matteo Il segreto? Infonde speranza

Fatale prova del nove. Quale serie tv, infatti, può giungere alla fatidica nona edizione, senza mettere alla prova la propria popolarità? Matematico: essa miracolosamente si manterrà, oppure, irrimediabilmente, sbiadirà. Ebbene: la prova del nove di Don Matteo 9 (giovedì su Raiuno, alla messa in onda della prima puntata) ha sbancato ogni verifica. Otto milioni e quattrocentosessantamila spettatori di media, pari al 31,05 per cento di share. «Il miglior debutto di una serie televisiva degli ultimi 10 anni», sintetizza il direttore di RaiFiction, Tinni Andreatta. Ma soprattutto ennesimo - e dunque ancor più sorprendente - trionfo d'un personaggio, d'una storia, d'uno stile di fare tv. Che resiste da quattordici anni esatti (il primo episodio andò in onda il 7 gennaio del 2000) e vede aumentare, piuttosto che appassire, il successo del proprio mix di candore, semplicità, giallo e commedia. Con una spruzzatina d'ecumenismo mediatico. «L'anno scorso il nostro prete detective aveva infatti superato il 27,2 per cento di share, diventando la serie più vista di Raiuno - analizza l'Andreatta - Ma stavolta ha addirittura superato se stesso».
E quale la spiegazione del miracolo degli ascolti operato dall'investigatore in tonaca? «Appunto il suo ecumenismo - sintetizza Matilde Bernabei, col fratello Luca produttori Lux - In un'Italia squassata dalla crisi di tutti i valori, Don Matteo continua ostinatamente a seminare speranza. È un prete sano, simpatico, accogliente. Perfino i crimini su cui indaga sono «umani», perché estranei a malvagità patologiche, e sempre frutto d'una debolezza momentanea, d'un momento di crisi. Non solo: don Matteo è l'unico detective che, dopo aver scoperto un colpevole, ne ha compassione e lo consola. Gli spiega che ha sbagliato, sì; ma che può trovare in sé l'energia d'una seconda chance. La sua è una speranza operativa. È proprio questa, che conquista i telespettatori». Oltre il fascino del protagonista, naturalmente: «In quattordici anni non ho mai voluto che mi sostituissero la tonaca di scena - confida il settantatreenne Terence Hill: "È sempre quella. E non la cambio perché ritengo sia più autentico un prete con una veste rattoppata».
Per un prete che non cambia, una Chiesa che si trasforma. Piacerebbe a don Matteo incontrare Papa Francesco? «Sì, perché in fondo si somigliano - sorride Hill - ma in forma privata, non in pubblico: come Terence Hill, non come don Matteo. D'altronde sono solo uno dei milioni di fedeli che vorrebbero incontrarlo».
Un'incognita della nuova serie poteva essere rappresentata dal cambio di set. Il passaggio da Gubbio (dove pare si sia affievolito lo spirito collaborativo delle autorità comunali) a Spoleto («Dove invece l'accoglienza è stata entusiastica», commentano dalla Lux) poteva compromettere il «sapore di casa» così tipico della serie. «E invece le bellezze umbre, esaltate da "pillole" di due minuti con cui il maresciallo Frassica e il capitano Montedoro introducono ogni episodio, hanno immediatamente funzionato». Quanto alla trama, è bastato giustificare con un'assenza di quattro anni, invece degli effettivi due, i cambiamenti più evidenti. Così la caserma dei carabinieri ugubbina è stata «accorpata» a quella spoletina per motivi di spending review; il capitano Montedoro è rimasto vedovo, ma ormai il lutto è elaborato, e la bambina che gli è rimasta regala al maresciallo Frassica la gioia d'essere nonno.


Ultimo motivo di soddisfazione, «il fortissimo risultato ottenuto tra i giovani - evidenzia la direttrice di RaiFiction Andreatta - Con ascolti tra i teen-ager nettamente superiori a quelli di più noti "fenomenì giovanili". Sono rari i racconti che coinvolgono in egual misura tutte le generazioni. Don Matteo è uno di questi».

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