Bova: "Che bello recitare Armani la nostra vera icona di stile"

Nella miniserie Mediaset «Made in Italy» sarà «Re Giorgio» «Ho rischiato di perdere i capelli per colorarli come i suoi»

Bova: "Che bello recitare Armani la nostra vera icona di stile"

Interpretare una delle icone dello stile italiano nel mondo è una bella responsabilità. Se l'è presa Raoul Bova che nella miniserie Made in Italy, prodotta da Taodue e in programmazione per il prossimo autunno su Canale 5 sarà Giorgio Armani. Per interpretarlo ha rischiato tutto, anche i capelli: «Ho rischiato di perderli perché con le decolorazioni si stavano bruciando, ma non riuscivamo ad arrivare alla sua tonalità di grigio. Volevano mettermi una parrucca ma io volevo essere autentico e ho chiesto di continuare a decolorare», ha raccontato da Los Angeles, dove è stato ospite di Filming Italy, la rassegna organizzata da Tiziana Rocca per far conoscere al mondo hollywoodiano i talenti e i luoghi cinematografici del Bel Paese.

Una toccata e fuga nella città californiana perché Bova deve tornare da Alma. Da pochissimo infatti l'attore è diventato papà della sua quarta figlia. Interpretare Re Giorgio ha riempito d'orgoglio e di pressione l'attore che, oltre ad essere un grande amico dello stilista, indossa i suoi capi da ben vent'anni. Bova, quarantasei anni e un curriculum che vanta più di settanta titoli fra film e serie tv, ammette di aver seguito Armani come un'ombra per parecchio tempo, cercando di acquisirne persino le movenze. «Quando la produzione mi ha affidato la parte ero terrorizzato. Anche ora, a parlarne, sento il peso e la responsabilità di questo compito. È bello quando un attore trova quella paura, quel rispetto non solo verso un'icona ma soprattutto verso un amico. Ho fatto il possibile per somigliare a lui, dal colore dei capelli alla gestualità, alla mimica facciale».

Quale consiglio le ha dato Giorgio Armani per interpretare la parte?

«Armani, come tutte le persone intelligenti non si è permesso di suggerire o spiegare come svolgere la parte. Sarebbe stato troppo presuntuoso da parte sua, ma sua nipote, Roberta Armani, sicuramente mi ha aiutato tanto e mi ha fornito molte indicazioni».

Nel periodo di ricerca e studio del personaggio, ha scoperto qualcosa che non sapeva di Giorgio Armani, un episodio curioso?

«Sì. Per esempio non sapevo che avesse iniziato la carriera all'età di 40 anni, relativamente tardi. Incontrò, ad un certo punto della sua vita qualcuno che gli diede fiducia e la possibilità di esprimere le proprie potenzialità. Lo racconteremo nella serie tv».

Parliamo di lei, da poco è nata Alma. Come ci si sente a diventare padre per la quarta volta? Si provano le stesse emozioni della prima volta o ci si abitua?

«La paternità è una delle cose più belle in assoluto. La parola padre è una parola completa, infatti in sudamericano il termine indica sia il padre in senso letterale sia la famiglia».

Si descriverebbe come un padre severo o permissivo?

«Il padre deve saper mantenere un equilibrio nel rapporto con i figli: deve saper essere complice e al tempo stesso dare dei limiti; deve saper comprendere cercando sempre di essere autorevole».

Lei che tipo di figlio è stato?

«Ero un adolescente ambizioso e irrequieto. Praticavo nuoto a livello agonistico. Le mie giornate erano infatti piene e scandite dagli orari in vasca, che lasciavano poco tempo per discutere con la mia famiglia. Ho creduto e credo molto nello sport perché mi ha calmato e mi ha insegnato ad avere fiducia nelle mie capacità, oltre che insegnarmi la disciplina».

Crede che la dedizione allo sport abbia contribuito a farle sviluppare motivazione e determinazione, forse le due componenti più importanti per il successo?

«Sì, assolutamente. Il nuoto mi ha trasmesso valori e principi che mi porto ancora dietro. Ma nei momenti difficili è stata la famiglia che più di tutto mi ha sostenuto. L'affetto e gli abbracci aiutano ad andare avanti, a crescere e a superare i problemi».

Lei ha esperienza nel mondo del cinema americano. Qui a Hollywood ha partecipato a film come Alien vs. Predator e a serie tv come What About Brian. In cosa si differenzia con quello italiano?

«L'unica grande differenza è la lingua, perché per il resto ogni film è un

mondo a sé. Le situazioni variano molto in base al regista e ai colleghi, perché l'attore di fronte alla macchina da presa è sempre lo stesso. Superficialità e professionalità si possono incontrare da entrambe le parti».

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