Al centro della riflessione del "Che fare?" c'erano l'idea del primato della politica e quella del ruolo del partito come depositario della «coscienza rivoluzionaria» e come catalizzatore delle energie rivoluzionarie del proletariato. Da sola, argomentava Lenin, la classe operaia non sarebbe stata in grado di raggiungere una vera «coscienza rivoluzionaria» e si sarebbe esaurita in tante, e inutili, manifestazioni di spontaneismo destinate, di fatto, a rafforzare il regime borghese: «lo sviluppo spontaneo di un movimento operaio finisce con il subordinarlo alla ideologia borghese. Il trade-unionism altro non è se non l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia. Il nostro compito, quello della socialdemocrazia, è di combattere lo spontaneismo. Non può esistere coscienza rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria».
Il partito, organizzato e gerarchizzato, articolato in una rete di comitati locali controllati dagli organi centrali ha le caratteristiche di un esercito permanente composto da professionisti della rivoluzione perché non è possibile fare il rivoluzionario a mezzo tempo. Il partito è, quasi, un «corpo scelto», rigidamente selezionato e addestrato, distinto dal complesso dei lavoratori: costituisce, in certo senso, l'avanguardia del proletariato e, composto di individui devoti e pronti al sacrificio, è in grado di giudicare ciò che è utile o conveniente per il bene di tutti i lavoratori e ha il dovere, altresì, in questa ottica, di educarli e guidarli secondo i principi del marxismo. Osserva acutamente Adam B. Ulam nella ricordata biografia di Lenin che, in questa visione, era già prefigurato l'esito dittatoriale del comunismo: «il partito deve essere simile a un esercito, ma non c'è esercito senza generale. Chi dovrà decidere quali ingranaggi sono adatti alle diverse funzioni dell'intero congegno? Senza rendersene pienamente conto, Lenin ha elaborato il progetto di una dittatura». E, si potrebbe aggiungere o precisare, di una dittatura totalitaria fondata sull'idea di una rivoluzione permanente che si sviluppa all'insegna di una epurazione continua in nome della purezza ideologica e che trova la propria sublimazione nel terrore istituzionalizzato e nella creazione dell'«universo concentrazionario», cioè dei gironi infernali del gulag, dove rinchiudere gli esseri contaminati dall'infezione borghese. Il progetto sarebbe stato precisato successivamente, secondo una linea di rigida continuità e coerenza, in altri saggi, a cominciare da Stato rivoluzione: la dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione (1917) scritto alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre nel quale Lenin sosteneva che la liberazione della «classe oppressa» sarebbe stata impossibile «senza una rivoluzione violenta» e «senza la distruzione dell'apparato di potere statale creato dalla classe dominante».
Il marxismo-leninismo, cioè a dire il marxismo nella versione di Lenin, è all'origine della Rivoluzione d'Ottobre e porta alla costruzione dello Stato comunista in Russia, ed anche altrove, accreditando l'utopia salvifica della liberazione dell'uomo dallo sfruttamento capitalistico e quella, altrettanto chimerica, della creazione di un «paradiso in terra» da costruirsi mettendo da parte le garanzie proprie dello Stato di diritto nel presupposto, come ha osservato François Furet nel suo libro Le due rivoluzioni. Dalla Francia del 1789 alla Russia del 1917 (1999), che «l'emancipazione comporti di per se stessa l'esercizio finalmente sovrano dei diritti politici da parte dell'intermediario della dittatura del proletariato» secondo uno schema che riprendeva la tradizione politico-intellettuale del giacobinismo francese per la quale lo Stato rivoluzionario era «il garante dell'uguaglianza e dunque della libertà».
Le vicende storiche del comunismo, quale è andato sviluppandosi a partire dalla realizzazione delle idee di Lenin e dalla presa di potere dei bolscevichi in Russia, si risolvono nella storia di una utopia salvifica ispirata dall'«universale fascino di Ottobre», lastricata da milioni di cadaveri, punteggiata dalla costruzione di «universi concentrazionari» e costellata, nel suo realizzarsi, da azioni criminali. È una storia di illusioni e di sogni palingenetici infranti sull'altare di una impossibile discontinuità lo ha molto ben dimostrato François Furet in una delle più belle opere della storiografia contemporanea, Il passato di una illusione. L'idea comunista nel XX secolo (1995) fra le posizioni teoriche e i comportamenti di Lenin, da una parte, e quelli dei suoi successori. In questa ottica, per esempio, appare evidente come i cosiddetti «crimini di Stalin» denunciati dal XX congresso del Pcus non siano stati affatto una degenerazione o deviazione dovuta a una mente tarata ma siano stati, al contrario, l'esito naturale dell'intransigentismo rivoluzionario di Lenin pronto a spazzare via, con ogni mezzo e senza pietà o rimorsi, tutti gli ostacoli che si frapponevano ai «passi cadenzati dei battaglioni ferrei del proletariato»: al Moloch della rivoluzione e al «verbo» incarnato dal partito venivano dedicate le vittime sacrificali di un culto barbarico e sanguinoso. La conquista del potere in Russia da parte del marxismo in versione leninisista ha dato origine a una «religione secolare», per usare la pregnante espressione del sociologo francese Jules Monnerot contenuta nella Sociologie du communisme (1963), che ha finito per influenzare e, in gran parte, condizionare la storia mondiale.
Dal 1917 la storia è, infatti, diventata così l'ha definita il maggiore filosofo cattolico del Novecento, Augusto Del Noce, in tanti suoi lavori tra i quali L'epoca della secolarizzazione (1970) una «storia filosofica» nel senso che da quel momento in poi tutti gli attori politici internazionali hanno dovuto confrontarsi, per accettarla o
respingerla, con una filosofia della prassi, il marxismo-leninismo appunto, che si era «inverata» o incarnata in istituzioni politiche. Con quel che ne è conseguito soprattutto in termini di «ideologizzazione» della storia.
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