«Che miracolo la mia Campania da favola»

Già prima che il film si intitolasse Si accettano miracoli , il cinema italiano lo attendeva per fare prodigi al botteghino. Perché da grandi poteri - i 17 milioni di euro incassati due anni fa da Alessandro Siani con il suo esordio Il principe abusivo - derivano grandi responsabilità. Siani, alla sua seconda prova da regista da più di sei milioni di euro di budget con i fidati produttori Cattleya e Rai Cinema, ne è consapevole ma ha anche la tranquillità di chi sa di aver fatto le cose per bene. Innanzitutto pensando al pubblico. Al «suo» pubblico che l'altra sera lo ha accolto trionfale alla proiezione in anteprima che il regista ha voluto organizzare al multiplex del centro commerciale di Afragola, alle porte di Napoli. Così il test delle risate, molte provenienti dai bambini, ha premiato questa commedia, uscita ieri nelle sale in 650 copie, che il regista ama infatti definire «fantasy comedy». «Quando vado in sala - racconta il regista e attore - e sento i bambini ridere mi scoppia il cuore perché loro ridono semplicemente, con poco, con le gag classiche. Quindi per Si accettano miracoli ho pensato tanto anche a loro a cui era piaciuto moltissimo Il principe abusivo ».

La sua comicità è cambiata in questi anni?

«Da quando ho iniziato a lavorare sono passati vent'anni, sono molto cambiato, naturalmente anche nel modo di fare comicità. Qui a volte da carnefice divento anche vittima perché non voglio fare l'errore di realizzare sempre lo stesso film, cerco di cambiare all'interno sempre della cornice che è tipicamente mia».

Lei interpreta un tagliatore di teste che viene a sua volta licenziato. La sua reazione non proprio ortodossa la porta ad essere condannato ai servizi sociali da suo fratello Don Germano (Fabio De Luigi) dove farà accadere il miracolo artificiale delle lacrime della statua di San Tommaso. Ma il tutto è ambientato in un paesino in cui il tempo sembra essersi fermato negli anni '50. Come mai?

«Anche grazie ai costumi d'epoca, con i bambini che sembrano le “piccole canaglie”, c'era la voglia di entrare in una storia senza tempo. La mia idea è sempre quella di riuscire a valorizzare attraverso un film le mie radici campane. Qui ci sono Sant'Agata dei Goti e la Costiera amalfitana mentre in futuro mi piacerebbe tornare a Napoli. Raccontata sempre attraverso la fiaba perché l'abbiamo già vista molte volte criminale anche se non è un problema solo suo. A Roma abbiamo assistito alle larghe intese del rubare dove si sono messi d'accordo un po' tutti, da destra a sinistra al centro».

Colpisce la sua generosità nello spazio dato a Fabio De Luigi, uno «sparring partner» che a volte le ruba la scena.

«Non esiste in Italia un altro attore come lui, è come quelli americani perché entra nel personaggio in maniera incredibile. Ci vorrebbero l'Unesco e il Wwf per proteggerlo. Grazie a lui il suo personaggio ha la credibilità per essere il filo conduttore di una storia a cavallo tra sacro e profano. E un po' lo abbiamo cambiato in corso d'opera pensando anche alla lezione di Papa Francesco».

È vero che per arrivare a calibrare con maggiore efficacia la comicità avete fatto ricorso a proiezioni speciali con il pubblico?

«Sì, ne abbiamo realizzate cinque. In base alla reazione di bambini e adulti in montaggio abbiamo modificato alcune parti del film».

Attore, sceneggiatore e anche regista. Riesce a gestite bene tutti questi ruoli?

«La regia ti dà tanto e non ti toglie nulla visto che ti consente di controllare tutto e di realizzare un sogno. Perché questo film è un sogno».

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