Quelli che si sono riappacificati con la pecora «nera» di famiglia

Luca GallesiQuando i fascisti repubblicani cantavano «Le donne non ci vogliono più bene», composto dall'allora diciannovenne Mario Castellacci, non immaginavano certo che, nel dopoguerra, alle donne si sarebbero aggiunti anche i figli. La morte della patria, che per loro si consumò nella primavera del 1945, significò, per molti degli sconfitti, anche la loro morte come padri, certificata dalla verità ufficiale, che, trasformando in vittoria una sconfitta, li marchiava come reietti e canaglie. Coloro che avevano continuato a combattere contro gli stessi nemici e con gli stessi alleati con cui eravamo entrati in guerra erano diventati delle non-persone, soprattutto se, invece di pentirsi e voltare gabbana, insistevano a tener fede alla loro scelta di campo, nonostante gli orrori di una guerra civile che non era finita con la guerra. La minoranza che volle tener duro sopravvisse in un mondo isolato, coltivando i propri miti e celebrando i propri riti ma perdendo così, soprattutto durante e dopo gli anni della contestazione, i contatti col mondo giovanile, che, o per conformismo o per fisiologico rifiuto generazionale, si buttò dall'altra parte della barricata. In quel tempo, la figura del padre non era inesistente né intercambiabile con quella della madre: il padre, fosse o meno presente fisicamente, rappresentava la Legge, la Norma, l'Autorità; un modello magari indebolito, ma ancora vitale e, soprattutto per i figli maschi, una figura con cui confrontarsi, prima di scontrarsi. Difficile, però, confrontarsi con un alieno, con una non-persona, con qualcuno che rifiutava il senso della Storia, con uno di cui, visto il disprezzo sociale che lo circonda, ci si dovrebbe vergognare. Fu così che per molti, come accadde a Pigi Battista poco dopo l'adolescenza, la rottura col padre fu più facile e più totale di quanto generalmente non accada; in questo caso, spesso l'inevitabile riappacificazione avviene troppo tardi, quando la morte del padre da rituale è diventata reale, come Battista descrive intensamente nelle ultime, commoventi pagine di Mio padre era fascista. Altri, sempre figli di fascisti, sono stati più fortunati: Giampiero Mughini, per esempio, dopo gli anni della contestazione, passò gli ultimi anni «ad adorare» il padre in camicia nera. Paolo Rossi, il comico amato dai centri sociali, ha scritto una prefazione affettuosa e impeccabile alle memorie di guerra civile di suo padre, Lionello Rossi Kobau, bersagliere della R.S.I., dimostrando che il sangue è più forte dei pregiudizi e la realtà delle idee.

Quando, invece, i figli persistono nel loro rifiuto del padre, può toccare ai nipoti riappacificare la famiglia, come per esempio è accaduto allo scrittore Emmanuel Carrère, figlio dell'Accademica di Francia Hélème Carrère d'Encausse, che aveva sempre tenuto nascosto il passato collaborazionista di suo padre, svelato invece dal nipote con queste parole: «Portare alla luce questi segreti è stata una grande liberazione». Con la l minuscola.

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