Loro sono serrati dentro una banca. Noi siamo ostaggi tra le nostre mura. Mai, come ora, una fiction coincide con la realtà. La casa di carta, già nel titolo, rispecchia quello che stiamo vivendo: rinchiusi e fragili, come fogli bianchi. Forse è per questo che la quarta stagione della serie spagnola è ancora più attesa delle precedenti che già tenevano incollati i fan di tutto il mondo. Da venerdì disponibile su Netflix in otto puntate (da vedersi se si vuole in binge watching), riparte da dove si era chiusa la terza: ritroviamo la banda del Professore trincerata dentro la Banca di Spagna. La parola d'ordine è resistere: fondere l'oro per portarlo via, sconfiggere i nemici interni, districarsi tra amore e mitragliate in una partita a scacchi con la polizia. Si comincia con Nairobi (tutti i personaggi hanno nomi di città) in punto di morte: per tutti, rapinatori e ostaggi, la vita è appesa a un filo.
Esagerata e molto al di là del credibile, la serie fa presa sui meccanismi psicologici che tengono incollati gli spettatori. I primi episodi della nuova stagione, per quanto abbiamo potuto vedere in anteprima, sono ancora più avvincenti della terza. E, comunque, forse è più surreale quello che stiamo vivendo nella realtà. «In effetti è molto buffo che l'uscita della serie coincida con l'isolamento, ma credo che, in un certo senso, possa aiutare la gente a trascorrere meglio la quarantena», ci conferma Alvaro Morte, il Professore, la mente dei piani diabolici delle rapine. In collegamento via Google da Madrid, con i volti assonnati e sbiancati, anche le interviste ci danno il senso della clausura. «Adesso il mondo capirà come si sentono gli ostaggi della Casa di Carta», scherza Enrique Arce collegato da Valencia: lui è l'odioso manipolatore Arturito, per ben due volte prigioniero (lo era anche nella Zecca della prima stagione) della squadra con le maschere di Dalì sul volto. «Eravamo consapevoli - continua - della portata del successo della nostra serie. Ora avrà una valenza sociale, non solo una forma di intrattenimento». Alvaro ed Enrique sono in apprensione per la loro collega Itziar Ituno (Lisbona, la poliziotta diventata ladra) diventata risultata positiva. «Sta abbastanza bene, rispetta la quarantena. È più di un mese che non ci vediamo, dunque siamo fuori dal pericolo di contagio». Insomma: «Forza, coraggio, senso di responsabilità - conclude Alvaro -. Noi in Spagna siamo molto colpiti dal virus, come in Italia. Ai nostri fan posso solo dire: state a casa e, nel frattempo, godetevi la Casa di carta e anche tutti i prodotti d'intrattenimento e culturali che avete a disposizione».
Ma come ritroveranno il suo personaggio? Il professore, freddo e razionale calcolatore, è poco lucido perché convinto che la sua amata Lisbona sia morta. «La sua grande scoperta è proprio che l'amore è ciò che muove la vita. Lui ha sempre avuto paura di mischiare testa e cuore però in questa stagione impara che è più importante seguire il secondo».
Per tutti i personaggi è il momento della riflessione: il creatore della serie Alex Pina, almeno nella prima parte, si è concentrato sullo sviluppo delle vicende dei protagonisti, prima di dar vita al caos «Sì, la quarta stagione comincia in maniera emotiva. Bisogna ricordare che la terza si è conclusa con una tensione altissima, con un furgone saltato in aria: era necessario riconnettere i personaggi con quello che stava accadendo per poi farli scendere nell'inferno, in una situazione in cui perdono completamente il controllo. Gli spettatori si troveranno in situazioni da elettroshock». Non è stato facile andare avanti nella sceneggiatura: la serie si sarebbe dovuta concludere con la rapina alla Zecca di Stato, poi il successo mondiale ha imposto di continuare e inventarsi un altro assalto «E non so se ci sarà una quinta stagione, intanto godiamoci la quarta».
L'attenzione dei fan si deve concentrare anche su Arturito, il direttore della Zecca catapultato anche nella Banca, avventato, sbruffone, viscido, pericoloso per le compagne di prigione, che avrà un ruolo centrale. «Per fortuna non ho molti punti in comune con il mio personaggio - scherza Enrique - L'ho sempre interpretato come in un gioco, lo tengo a distanza.
Però lo difendo perché è l'immagine di quello che farebbero molti di noi se si trovassero prigionieri e sotto minaccia di morte. Credo che sia anche il motivo per cui piaccia tanto agli spettatori. In ogni caso, il mio rapporto con le donne, vi assicuro, è molto diverso dal suo».
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