Ci vogliono 224 tweet per conquistare una donna

Cinguettii, post, selfie hanno creato una «tecnologia del sé» Siamo ciò che condividiamo. Fra libertà e controllo sociale

Ci vogliono 224 tweet per conquistare una donna

Ci vogliono in media 224 tweet per avviare una relazione sentimentale, contro 163 messaggini, 70 messaggi su Facebook, 37 email e 30 telefonate. E pare che nel Regno Unito dialogare su Twitter sia il modo preferito per iniziare una storia. Ma anche il modo migliore per troncare. Il 36% lo fa per telefono, il 27% con un sms, il 13% attraverso i social. Oltre un miliardo di persone utilizza Facebook o altri social media e molti trascorrono gran parte del tempo a diffondere notizie sul proprio conto in quella che gli specialisti chiamano infosfera (sfera dell'informazione, in parte virtuale e in parte fisica) nel tentativo di dare forma alla propria identità personale.

Come scrive Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell'informazione all'Università di Oxford, in La quarta rivoluzione. Come l'infosfera sta trasformando il mondo (Raffaello Cortina Editore, pagg. 285, euro 24), le tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono ormai la più potente tecnologia del sé, in grado di creare e rimodellare la nostra identità personale, la nostra concezione del sé e il nostro sé sociale, cioè come veniamo percepiti dagli altri, facendo in modo che i tre ambiti siano quanto più possibile coincidenti. Il problema della costruzione di una identità personale online è ormai avvertito come cruciale, dal momento che un numero crescente di persone trascorre buona parte della propria vita adulta su Facebook, Google+, LinkedIn, Twitter, YouTube, Istagram, Klickr, Diaspora e così via. «Per tutte queste persone - osserva Floridi - interrogarsi sulle proprie identità online, trattarle come un serio work-in-progress e adoperarsi quotidianamente per dare loro forma e aggiornarle, è una cosa seria. È la generazione iperconsapevole di sé, che condivide attraverso social network e istant-messaging visioni e gusti personali, dettagli privati e persino esperienze intime, in una sorta di flusso continuo».

Mai nella storia un numero così elevato di persone ha diffuso tali e tanti dettagli sul proprio conto a un pubblico così vasto. A fronte di tutto questo, le domande che molti si pongono sono: che farsene di tutto questo sterminato flusso di dati e informazioni? Ciò che scriviamo merita di essere letto? Non rivela piuttosto quanto banali e insignificanti siano le nostre vite? Insomma, da più parti si lamenta che chi trascorre il suo tempo su internet ha perso contatto con la realtà e vive in una bolla virtuale in cui «le chiacchiere più superficiali sono la sola moneta corrente». Li si accusa di vivere in un mondo innaturale e inautentico, ipnotizzati dall'artificiale e dal sintetico: un mondo ossessivamente narcisistico fatto di selfie, nel quale gli individui risultano incapaci di assumersi responsabilità, dal momento che tutto è cancellabile, rivedibile, reversibile.

Floridi però non è così pessimista, e fa notare che gran parte del mondo in cui viviamo e che riteniamo naturale e autentico in realtà non è altro che un prodotto culturale, costruito e manipolato dall'uomo (tant'è che i geologi si riferiscono alla nostra come all'era dell'antropocene, ossia quella in cui l'intero ambiente terrestre è pesantemente condizionato dall'azione umana). Senza contare che i social rappresentano «un'opportunità senza precedenti di essere responsabili dei propri sé sociali», di determinare la propria identità personale e, a cascata, la nostra concezione di sé. Una libertà mai conosciuta prima nel dare forma a noi stessi. Ciò ovviamente nasconde non pochi pericoli, ma spesso è la stessa rete a produrre i propri anticorpi, per esempio all'eccesso di menzogne: non è poi così facile mentire su chi siamo «quando milioni di persone ci guardano». Ormai la vita umana, fa notare Floridi, sta sempre più diventando una questione di esperienza onlife (a cavallo tra online e offline), attraverso la quale «ridefiniamo limiti e opportunità nello sviluppo delle nostre identità». Una dimensione nella quale si può «invecchiare bene» ma mai diventare «datati bene». In cui si acutizza la distinzione tra presenza e localizzazione di sé, dal momento che trascorriamo una parte sempre più considerevole del nostro tempo cosciente in un luogo diverso da quello in cui siamo fisicamente collocati.

Un mezzo, quello dei social, che con grande facilità ci consente di vederci come ci vedono gli altri. «Chi sono io per te?» avremmo domandato un tempo. «Chi sono io online?» è la domanda che ci poniamo oggi. Chi siamo dunque veramente nell'era dell'iperstoria (quella in cui la società dipende, per la propria prosperità, dall'efficacia con cui vengono gestiti i flussi di informazioni)? Secondo una scuola di pensiero di derivazione lockiana «la nostra identità è fondata sull'unità della coscienza e sulla continuità della memoria». Secondo una teoria più recente, detta «narrativa», noi siamo la nostra storia, la nostra autobiografia, ossia un artefatto socio-individuale. Ma oggi potremmo dire che noi siamo le nostre informazioni, ossia le informazioni di cui siamo fatti, che ci descrivono e raccontano. Ecco perché è così importante cercare di comprendere quella che Floridi (e non solo lui) chiama «quarta rivoluzione»: dopo Copernico, Darwin e Freud, quella avviata da Alan Turing intorno al 1950 con l'avvento dell'era informatica, dominata dai calcolatori, dall'infosfera e dalle intelligenze artificiali, in futuro destinate a sottrarci anche il primato dell'intelligenza (già ora superandoci in molti compiti).

E a chi sostiene che le rete con il suo sovraccarico di dati e informazioni ci rende più stupidi e pigri, e che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione abbiano abbassato il livello della nostra cultura, Floridi risponde che è «come rimproverare le automobili per la nostra obesità». Non del tutto erroneo ma superficiale, considerato che si tratta dello stesso mezzo che può portarci al supermercato, al lavoro, o grazie al quale possiamo raggiungere luoghi lontani.

Quello di Floridi è un saggio ricco di spunti, che affronta anche temi come l'intelligenza artificiale, e nel quale si analizzano i modi attraverso cui l'infosfera incide sulla privacy, sulla politica, sull'ambiente, sull'etica.

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