Il 10 novembre 1938 il nuovo ambasciatore francese a Roma, André François-Poncet, si recò da Galeazzo Ciano, allora ministro degli Esteri, per presentargli le sue credenziali.
I due si erano già conosciuti durante la Conferenza di Monaco e al diplomatico francese aveva ispirato subito simpatia «quel ragazzone sano e atletico, che non riusciva a nascondere un fondo di gentilezza e di giovialità» malgrado «l'aria altera e sicura di sé che ostentava». Con quel colloquio, improntato alla cortesia reciproca, ebbe inizio la «missione impossibile» che François-Poncet si era proposto di svolgere a Roma, quella cioè di evitare lo scoppio di una guerra e di caldeggiare un riavvicinamento tra Francia e Italia.Secondo la testimonianza di Ciano il nuovo ambasciatore francese entrò in conversazione «con il tono di un vecchio amico, dignitoso e sicuro di sé», accennò alla speranza di «avvicinare» l'asse Roma-Berlino al «sistema franco-britannico per stabilire un costume di consultazione a quattro» e, al termine del colloquio, si allontanò «pensoso» e con «l'aria molto affaticata».
Prima di arrivare a Palazzo Farnese, André François-Poncet, una delle figure più significative della grande diplomazia europea del Novecento, era stato ambasciatore a Berlino v'era giunto quarantenne nel 1931 e vi sarebbe rimasto fino al 1938 , aveva assistito all'agonia della Repubblica di Weimar e all'ascesa di Hitler e del nazionalsocialismo. Diplomatico di grande finezza e cultura era riuscito, persino, a conquistarsi la stima del dittatore tedesco il quale, notoriamente, detestava gli ambasciatori. Tuttavia, era diventato insofferente del clima allucinante del III Reich e sempre più preoccupato delle mire belliche di un Hitler invasato che gli ricordava la figura del pifferaio magico di Hamelin. Alla Conferenza di Monaco del 1938, che parve per qualche tempo aver allontanato le nubi minacciose di un imminente conflitto, era stato colpito dall'ascendente che Mussolini sembrava avere sul dittatore tedesco e si era convinto che la «chiave della pace» fosse non già a Berlino ma a Roma. Chiese, quindi, e ottenne di essere trasferito a Roma. I rapporti tra i due paesi erano pessimi, tanto che la Francia non aveva neppure più un ambasciatore da quando l'Italia si era annessa l'Etiopia.
La nomina di François-Poncet non intaccò la «gallofobia» di Mussolini. Quando venne informato dell'arrivo del diplomatico francese, il Duce, rivolgendosi a Ciano, disse con tono brusco e liquidatorio: «Farò di tutto per facilitargli la rottura di testa. Mi è antipatico». E i primi tempi della permanenza romana di François-Poncet furono davvero difficili non soltanto per i ripetuti «sgarbi» di Mussolini il quale, oltre a ritardarne pretestuosamente l'accreditamento, lo snobbava in maniera plateale nei ricevimenti ufficiali ma anche per le manifestazioni di disturbo certamente sobillate a livello governativo e per il boicottaggio dell'intesa a.ttività culturale e mondana di Palazzo Farnese in gran parte frutto dell'entusiasmo dello storico e archeologo Jérôme Carcopino.
Al periodo trascorso a Roma come ambasciatore poco più di un anno e mezzo, dalla fine di ottobre del 1938 al momento dell'inizio delle ostilità italiane il 10 giugno 1940 François-Poncet, che fu anche un grande scrittore e membro dell'Académie Française, dedicò un piccolo ma assai gustoso e appassionante libro ricco di importanti informazioni e di elementi chiarificatori. Quel testo memorialistico fu pubblicato in Francia nel 1961 in una piccola edizione ben presto esaurita e tradotto in italiano nel 2009 dalla casa editrice Le Lettere. Soltanto oggi, a quasi sessanta anni dalla prima edizione, il volume di André François-Poncet, intitolato Au Palais Farnèse. Souvenirs d'une ambassade à Rome (Perrin, pagg. 208, Euro 8) viene riproposto in Francia a cura di Maurizio Serra che vi ha premesso un puntuale saggio introduttivo.
Quale sia il motivo per il quale questo libro a differenza di altre opere dello stesso autore, a cominciare dai suoi ricordi berlinesi (Souvenirs d'une ambassade à Berlin, 1946) sia rimasto assente, malgrado l'importanza dei suoi contenuti, dagli scaffali delle librerie francesi per tanti decenni e sia stato a lungo ignorato dalla storiografia è soli ipotizzabile. Esso venne pubblicato, come si è detto, all'inizio degli anni Sessanta in un momento storico che vedeva il ritorno alla ribalta politica di Charles De Gaulle e, probabilmente, era funzionale al progetto gollista di coinvolgere l'Italia, oltre alla Repubblica Federale Tedesca, nella concezione «carolingia» di una «Europa delle patrie» che avesse, però, sempre la Francia come perno essenziale al centro del continente. In questo quadro il testo di François-Poncet avrebbe potuto contribuire a far voltare la pagina più infelice e triste delle relazioni italo-francesi, quella relativa alla cosiddetta «guerra delle Alpi» e alla «leggenda» del «colpo di pugnale alla schiena» inferto dall'Italia alla Francia con la dichiarazione di guerra e destinato a pesare a lungo, anche dal punto di vista psicologico, sui rapporti tra i due Paesi. Tale «leggenda» si fondava sul recupero di un'espressione, quella del «colpo alla schiena», già largamente utilizzata in altri contesti storici per evocare metaforicamente situazioni caratterizzate sia da un atto di violenza improvvisa sia dal tradimento.
Il volume di François-Poncet, in realtà, forse al di là delle intenzioni stesse dell'autore, finiva, attraverso la ricostruzione minuziosa dei fatti, per smontare tale «leggenda» nel senso che faceva intendere come l'apertura delle ostilità italiane fosse una azione vile, quanto si vuole, ma non un atto di tradimento e, ancora, come essa non giungesse inattesa. La dichiarazione di guerra fu consegnata a François-Poncet da un Ciano imbarazzato con indosso l'uniforme di comandante dell'aviazione che si rivolse all'ambasciatore con poche parole: «Sapete già di cosa si tratta». Questi replicò: «La vostra uniforme è eloquente e del resto mi avevate già annunciato quanto sarebbe accaduto. Avete aspettato di vederci in ginocchio per accoltellarci alle spalle». Uno scambio di battute, ben si vede, che, al di là della condanna della viltà dell'atto, non implicava accuse né di tradimento né di infamia. E celava, semmai, il rammarico per il fallimento di una missione di pace.
François-Poncet aveva costruito, poco alla volta, un buon rapporto, di cordialità e stima reciproca, con Ciano. E il suo volume è importante anche per chiarire la vera personalità di Ciano, troppo spesso oggetto di giudizi semplicistici e liquidatori. Il diplomatico francese lo mostra come un «fervente patriota» che del fascismo rappresentava «gli elementi più moderati e ragionevoli», che nutriva «una grande considerazione» per Vittorio Emanuele III e non invocava «mai la possibilità di un cambiamento di regime e dell'istituzione di una repubblica». Ma, soprattutto, ne parla come di «un ministro degli Esteri all'altezza delle sue funzioni» che aveva fatto «una buona gavetta superando con successo i difficili esami» della carriera diplomatica ed era «attivo, sempre presente sul posto di lavoro, puntuale e metodico negli impegni», ma soprattutto preparato e competente. Sulla vexata quaestio dei diari di Ciano e della loro attendibilità, François-Poncet interviene, poi, definendoli «un documento autentico e sincero».
Il rapporto fra il ministro degli Esteri italiano e l'ambasciatore francese, innamorato dell'Italia e convinto di poter concludere positivamente la sua «missione impossibile», è al centro di un volume dal quale emergono tanti particolari sconosciuti sulla politica del tempo, sull'atteggiamento di Mussolini nei confronti dei tedeschi, sulle «incomprensioni» fra le due sorelle latine destinate ad alimentare il clima di tensione, ma anche sulle diffidenze e resistenze della classe politica francese.
Cosa, quest'ultima, che ha contribuito, probabilmente, alla sua «quarantena» editoriale in Francia.Un volume importante, insomma, che è anche val la pena di ribadirlo un piccolo gioiello letterario che conferma una tradizione, tipicamente francese, capace di coniugare diplomazia e cultura.
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