Un'intera carriera tra storia e critica della televisione, diviso tra l'Università Cattolica di Milano e l'Università degli Studi di Genova, Giorgio Simonelli è - per pagine scritte ed edizioni recensite - tra i massimi esperti di sanremologia viventi.
Professore, cosa è successo a Sanremo?
«È successo che per la prima volta il Festival ha avuto la concorrenza di un evento sportivo. Un tempo - come Alberto Tomba alle Olimpiadi di Calgary, o una celebre Italia-Portogallo - l'evento veniva inglobato da Sanremo. Quest'anno invece il calcio è un diretto avversario. E sul piano degli ascolti si sente».
È l'unica ragione del flop?
«No, certo. Dietro a tutto c'è la pandemia. Attenzione: è proprio il troppo consumo di tv durante questi mesi che ha finito per penalizzare il Festival. È come nel ciclismo: se il gruppo va troppo forte è molto più difficile andare in fuga. Così la tv. Quando gli ascolti medi sono molto alti avere un picco è difficile. Mentre con un consumo medio più basso è facile svettare».
Altre ragioni?
«Sanremo, prima di tutto, è sempre stata una festa. E quest'anno non c'è molto da festeggiare. Anzi, vedere l'allegria e l'entusiasmo che ci sono sul palco, senza averli dentro, può persino disturbare».
Andrà sempre peggio?
«Non è detto, già nella terza serata, con le cover che fanno scattare l'effetto nostalgia, le cose potrebbero andare un po' meglio».
Cosa manca di più?
«La prima è l'assenza di grandi star internazionali, che fanno scattare la curiosità del pubblico. Naomi Campbell è Naomi Campbell: è stata la donna più bella del mondo, e antipatica al punto giusto. Non averla si sente, detto con tutta la simpatia per i personaggi presenti. Certo che se il superospite è Fausto Leali... E lo dico io che sono un fan di Leali».
La seconda?
«La mancanza del pubblico in platea, ma solo in parte. Nella prima serata secondo me è stato addirittura un vantaggio: ha scatenato la fantasia di Fiorello, anche se in realtà il gioco delle poltrone vuote e dei braccioli l'aveva già fatto un paio di anni fa a un evento Sky, al Teatro Tenda a Roma. Invece il tormentone dei palloncini della seconda serata mi sembrava già più modesto. Ma tutto sommato aver perso il pubblico in sala non mi sembra così traumatico. Era più imbarazzante quando c'era il soviet supremo della Rai in prima fila».
Cose positive del Festival?
«In questa edizione si sta facendo anche un buon servizio pubblico. Parlare delle mascherine, sostenere la campagna di vaccinazione, citare la dad e i ragazzi chiusi in casa, ospitare l'infermiera... Sono cose che male non fanno. Sopratutto se si evita l'effetto retorico, come invece accadeva quando - chessò - Carlo Conti invitava sul palco la gente comune».
La cosa migliore finora?
«Fiorello. È vero, a volte è sovraesposto. Ma faccio una metafora calcistica: anche Ibrahimovic è strabordante, a volte. Ma se non c'è lui, chi la butta dentro?».
La cosa peggiore?
«Uhmmmm.... Forse gli ospiti sfruttati male. Con la Pausini, o Alex Schwazer, si poteva fare di più. Perché non chiedere a Schwazer chi lo ha incastrato? Ah, ecco: si poteva anche usare meglio lo spazio vuoto del teatro, a parte la trovata dei palloncini. Perché non pensare di portare un cantante o qualche ospite in platea, invece che sul palco?».
E le canzoni?
«Non deve dirlo un critico televisivo che quest'anno sono brutte. Devono farlo i critici musicali».
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