Giù la maschera. 1992 La Serie non parla di Tangentopoli. E dispiace, perché le premesse per un buon prodotto c’erano tutte. Ma la seduzione e la tentazione di trasformare il racconto di quello che fu uno dei momenti più imbarazzanti e confusi di questo Paese, in una velata critica a Silvio Berlusconi, a Fininvest e alla ancora non nata Forza Italia, era troppo forte. Si può capire che un certo salotto non abbia voglia di accedere a nuove chiavi di lettura. Che siano anche solo quelle della storia. Stupisce che sia quello stesso salotto che ama pavoneggiarsi al grido di: "Io la televisione non la guardo, preferisco un buon libro".
"Qui mi sembra che Mani Pulite sia solo uno sfondo, una scusa per raccontare altro". Sono proprio le parole di Antonio Di Pietro, protagonista, in qualità di magistrato, e anima dello scandalo di Tangentopoli, a descrivere una ricostruzione filmica poco corrispondente alla realtà.
Facile, facilissimo, farsi coccolare dalle braccia sicure dell’anti-berlusconismo. Ma è stata davvero Publitalia, con la sua fitta schiera di manager spietati, assassini, ex comunisti da banda armata e amanti dei ménage à trois nelle vasche idromassaggio, il centro della vita dell’Italia nel 1992? Tutto ruotava intorno alla figura di Silvio Berlusconi come personaggio più desiderato dagli italiani? Troppo difficile da credere. O troppo facile.
Ed è Stefano Accorsi nei panni di Notte a portarsi sulle spalle tanta responsabilità. Lui è l’emblema di una politica vuota, partorita a tavolino tra slogan e marketing. Priva di contenuti. E questo sarebbe uno spaccato dello scandalo Tangentopoli?
Sul finale della quarta puntata, Miriam Leone che interpreta Veronica, ambiziosa amante di Michele Mainaghi, imprenditore che decide di togliersi la vita dopo essere stato coinvolto nell’inchiesta Mani Pulite (ed anche nella triste vicenda della vendita di sangue infetto), disposta a tutto per ottenere un programma in tv, dopo una telefonata di raccomandazione a Berlusconi, bussa alla porta del Cavaliere. Ultima spiaggia per fare carriera in tv. Il rimando è chiaro e davvero poco velato, ma, oltre a strappare qualche facile ghigno, è uno scivolone banale per chi vorrebbe raccontare l’Italia che si delineò dopo l’arresto di Mario Chiesa.
Eppure, la produzione è stata elogiata nel resto d’Europa.
All’indomani del debutto al Festival di Berlino, ad esempio, il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha applaudito 1992: "Raramente un paese ha il coraggio di guardarsi allo specchio come in questo caso". Sì, gli specchi di legno.
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