Johnny Depp: "Controllo il mondo con un computer ma nella vita non lo so usare"

L'attore racconta il suo ultimo film Trascendence in cui è un genio che crea un'intelligenza artificiale

Johnny Depp: "Controllo il mondo con un computer ma nella vita non lo so usare"

Los Angeles - Col futuristico Trascendence (dal 18 aprile sugli schermi), Johnny Depp compie la sua trascendenza non solo come personaggio (è il genio dell'informatica che sviluppa una forma di Intelligenza Artificiale capace di controllare/dominare il mondo intero), ma anche come persona. Depp va aldilà di ogni tipo di scrutinio, giudizio, opinione: è un grande e basta. Non c'è bisogno che reciti; nessuno mette in discussione la sua stella, il suo carisma. Potrebbe non far nulla, i fan lo adorerebbero lo stesso. E questo lo si capisce incontrandolo, come è capitato a noi, a Beverly Hills (per il lancio del film diretto dal debuttante Wally Pfister, direttore della fotografia di Christopher Nolan), dopo un'anticamera da far invidia al Presidente Usa, compresi i severi embargo sulle «domande personali». Depp, 50 anni, s'è separato l'anno scorso dalla fidanzata di lungo corso Vanessa Paradis, da cui ha avuto due figli, ed è oggi legato alla molto più giovane Amber Heard, ma guai a chiedere: solo domande sul film.

Quando Depp arriva l'atmosfera cambia, tutto si scalda: abbraccia tutti e ci fa sorridere coi suoi jeans stracciati, una bandana che pende dal taschino anteriore dei pantaloni, camicia e maglioni all'American Rug, braccialetti, anelli, tatuaggi dappertutto. Gipsy King. Ma il suo volto è ben curato, un maschio metrosexual nascosto: capelli neri corti con frangetta vistosa alla Edward Mani di Forbice, i rituali baffi e pizzetto radi.

Johnny, in Transcedence lei diventa una specie di Grande Fratello orwelliano, la sua faccia dappertutto a dettare legge online. Lei ha paura della tecnologia?

«Non sapevo che la tecnologia descritta nel film, la possibilità di caricare in un super computer il cervello umano e tutto il sapere collettivo, comprese emozioni, fosse realmente in via di sviluppo: in questo senso sì, mi fa paura. Non esiste ricerca e scoperta tecnologica che non abbia trovato in seguito un'applicazione. La ricerca scientifica in una società libera dipende sempre dal libero arbitrio: un conto è l'invenzione dell'arma, altra quella della mano - magari artificiale - che preme il grilletto».

Il suo personaggio, Will Caster, è buono o cattivo?

«Incarna l'ambiguità di ogni Intelligenza Artificiale, come Hal di 2001 Odissea nello spazio. Le sue intenzioni sono buone, vuole guarire il mondo, fare del mondo un posto migliore, come diceva sempre Steve Jobs quando lanciava le sue app. Ma sta al pubblico emettere il verdetto su Will in Transcendence. Chiunque giochi a fare Dio diventa comunque un megalomane. Come Dottor Evil in Austin Powers!».

Lei è tecnologico?

«Mi guardo bene dall'andare sui social network, evito il rischio. Un giorno ho avuto la malaugurata idea di googlare il mio nome, l'avessi mai fatto. Le dico solo che i miei figli sono intelligenti abbastanza da non chiedermi niente sui computer. Nemmeno sui compiti, se è per questo. Magari in storia e letteratura sono ancora capace di dargli una mano. Ma sulle materie tecniche, soprattutto matematica, zero. Sono un imbranato. Devono arrangiarsi per conto loro».

Ha incontrato veri geni dell'informatica preparandosi al film?

«Sì, alcuni professori di biogenetica, neuroscienza e nanotencologia a Berkley. Poi ho conosciuto Elon Musk, l'inventore della Tesla, l'auto elettrica indipendente, il Quentin Tarantino dei costruttori di auto. Un giorno ci ha portati a fare un giro su una delle sue Tesla. Guidava lui e la polizia ci ha fermato per eccesso di velocità. Sul sedile davanti c'ero io con Paul Bettany (anche lui in Transcendence), seduto su di me - dietro Rebecca Hall, Kate Mara e Morgan Freeman. Elon l'ha buttata sul ridere. Il poliziotto non ha dato segni di senso dell'umorismo - succede di frequente - e per poco non finivamo tutti in gattabuia».

Se avesse il potere di un cervello digitale onnipotente come nel film, cosa farebbe per il bene del mondo?

«Dirotterei tutti i fondi bancari di nazioni ricche come la Gran Bretagna nelle casse di paesi bisognosi. Ma credo che sia vietato e fuorilegge. Nel cervellone digitale farei colare qualche goccia di oppio per calmarsi».

Chi sono i suoi eroi?

«Artisti tormentati come Hunter Thompson e Marlon Brando, individui notevoli motivati non dall'ambizione ma da uno slancio verso l'arte senza vanagloria».

Lei non è mosso dalla vanità?

«Io? Sono un pagliaccio pensante».

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