Così Davide Brullo si è preso in ostaggio nel labirinto del Minotauro "Nabokov"

Un'intervista irreale e scenari deliranti alla scoperta di un'ossessione

Ho idea che il nuovo libro di Davide Brullo, Nabokov (Compagnia editoriale Aliberti, pagg. 120, euro 12,90), ruoti intorno a un concetto, che è quello di violazione. Ma violazione di cosa? Intanto la dichiarazione di intenti, dico proprio il titolo. Nabokov non è né una biografia né uno studio monografico sul grande autore di Lolita, di Ada o ardore, di La vera vita di Sebastian Knight, bensì un romanzo. Ma anche questo non sembra del tutto vero, perché in realtà Vladimir Nabokov non è il centro di una storia che non ha e non vuole avere una trama. È piuttosto il Minotauro che permette a chi narra di mettere in moto la scrittura. Ancora. Il cuore del romanzo è la trascrizione di un'intervista definitiva che un giornalista culturale argentino, Charles Kimbote (battezzato con lo stesso nome del protagonista di Fuoco pallido), è riuscito a carpire a Nabokov quando questi viveva a Montreux, in Svizzera. Un'intervista in cui lo scrittore rivela il suo peccato inconfessabile, quello di aver violato una figlia che, anni dopo, si è tolta la vita. Ultima traccia, o indizio, o congettura. Quell'intervista, e quell'intervistato, sono una bugia, sono un apocrifo ben congegnato dal narratore, insomma da Davide Brullo.

Del resto, il falso spacciato per vero, o una verità espressa per mezzo di menzogne, Brullo l'ha sperimentata in più libri, e penso soprattutto allo Pseudo-Paolo (Melville), in cui si faceva scopritore di una lettera apocrifa di San Paolo a San Pietro, o ancora a Un alfabeto nella neve (Castelvecchi), dove si pubblicava un presunto epistolario tra Boris Pasternak e Marina Cvetaeva che era egli stesso ad aver inventato. Tutte bugie spacciate per verità. O più correttamente: verità emersa tramite bugie. E d'altronde non era Nabokov a scrivere che «ogni grande scrittore è un imbroglione»?

Credo però che, con Nabokov, Brullo abbia voluto compiere qualcosa di ancora più radicale. Che abbia cercato, con un atto di violazione, di andare al cuore della sua stessa scrittura. In che modo? Nabokov, nel romanzo, non è propriamente un personaggio, ma un modello. Non però un modello di scrittura, ma una figura che - incorporea, glaciale, amorale, mostruosa -, osservandola vampirizza. Nabokov è, alla sostanza, l'atto stesso della violazione. «Nabokov è un autore di cui non avrei mai voluto scrivere. Al contrario, è il cuore della mia vita: perché? Forse perché non sopporto me stesso - perché trovo la strategia più complicata per costringermi a smettere di scrivere, dilapidando l'unica cosa che ho, la scrittura». La violazione non è altro che un atto di forza, di usurpazione, di violenza che si impone alla vita degli altri ma soprattutto alla propria - perché solo violando il concetto stesso di vita è possibile che la stessa risorga sulla pagina. «Se sono un uomo buono è perché scrivo cose orrende - perché mi costringo allo spergiuro, mi suicido scrivendo, in fondo». Nabokov, nel romanzo, è appunto il Minotauro, il mostro dentro al labirinto, colui che chi narra nutre per poter continuare ad alimentare le proprie ossessioni, per poter continuare a scrivere. Nabokov, al fondo, è il nome che Brullo prende in prestito per dare un significato alla sua stessa scrittura. Una scrittura che è reale a patto di mistificare (di fatto uccidendola) la vita di chi detta la sua pronuncia, in nome di una purezza da raggiungere.

«Si costruisce il

labirinto per nascondere qualcosa che ci sorprenda - per trovare, storditi dallo smarrimento, l'innocente», appunta Vladimir Nabokov in un taccuino. Anzi no, non lo scrive Nabokov, è Davide Brullo, ormai divorato dal Minotauro.

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