Nel 1997 Luigi Spagnol aveva 36 anni. Già da dieci si occupava di Salani e di letteratura per ragazzi. Oggi, che è presidente di Salani e amministratore delegato del gruppo GeMS, tutti lo conoscono come l'«editore italiano di Harry Potter», di cui fra qualche mese pubblicherà l'ottavo libro, Harry Potter and the Cursed Child (uno e due). Ma tutto è cominciato diciannove anni fa, quando gli arrivò la copia di un libro, che di lì a poco sarebbe uscito in Gran Bretagna col titolo Harry Potter and the Philosopher's Stone.
Come è arrivato quel libro?
«Come ne arrivano tanti. Però per fortuna è arrivato quello. Fu l'agente di JK Rowling a mandarlo, Christopher Little».
E chi lo lesse?
«Io. Non l'avevo neanche finito e avevo già deciso: del resto in quei momenti lì non devi pensare troppo».
In che senso?
«Come sempre, alla fortuna devi non pensare. Mentre gli errori peggiori li fai pensandoci. Qualcuno dopo mi disse: ma perché hai scelto un libro così, che in Italia il fantasy non vende?»
Risposta?
«Non mi ero accorto che fosse un fantasy. Ho pensato subito che fosse un classico per bambini. Dal primo libro non si intuisce quello che diventerà in seguito. Io ho pensato che avrebbe venduto per molti anni a venire, come Roald Dahl o Pippi Calzelunghe. Lo pensavo a quel livello lì».
Ma le sembrò un libro solo per bambini?
«Certo. Il fenomeno non era immaginabile. Ho l'impressione che la portata della saga, per intero, non fosse neanche nella mente della Rowling».
Quanto tempo è passato fra l'acquisto dei diritti e la pubblicazione in Italia?
«Meno di un anno. Abbiamo comprato i diritti appena prima che uscisse in Gran Bretagna, in estate; li avevano già venduti in tre o quattro paesi. Noi siamo usciti a maggio del '98».
Quindi il libro non aveva ancora avuto successo.
«Era sconosciuto. Ci era stato detto che c'era un po' di movimento all'estero e di fare presto a leggerlo. E basta. Poi, per i primi due anni, ha venduto, ma non così tanto».
La prima tiratura?
«Ventiquattromila copie. Ottima, potevamo investire perché per la casa editrice era un buon momento. Abbiamo anche fatto un po' di marketing, qualche orologio o calendario nelle librerie... Per noi era un libro importante».
E poi?
«Il terzo ebbe una tiratura iniziale di 40mila copie e il settimo... un milione di copie, l'ottanta per cento venduto in una settimana. In tutto, oltre dieci milioni di copie vendute».
Vende ancora?
«Oh. Abbiamo tante edizioni, è spesso in classifica. È il nostro titolo più venduto».
Quanto avete pagato i diritti allora?
«Poco. Intorno ai dieci milioni di lire. Anche se era tanto, per un libro per bambini in Italia: in media pagavamo tre-quattromila dollari, magari un milione di lire».
Quando c'è stata la svolta?
«Fra terzo e quarto libro, nel '99: la Warner acquistò i diritti cinematografici, Harry Potter finì sulla copertina di Time. Improvvisamente ne parlavano tutti».
L'ottavo libro uscirà il 31 luglio. In Italia?
«Non lo sappiamo. Non sappiamo nemmeno quanto sarà lungo. Si sa solo che, a quanto pare, il protagonista sarà il figlio. E, visti i protagonisti dello spettacolo, che ci saranno ancora Harry, Ron e Hermione, che è un'attrice di colore».
Ma lei si aspettava un seguito?
«No. Ero convinto che col settimo basta, non saremmo più potuti tornare dentro quel mondo... Invece. Una bella sorpresa. Anche se Voldemort non c'è più: chi sarà il nemico?»
Siete rimasti l'editore della Rowling per tutti i suoi libri.
«A quanto ne so non ha mai cambiato editore per Harry Potter. Però siamo fra i pochi al mondo che abbiano pubblicato anche gli altri libri, Il seggio vacante e i gialli firmati Robert Galbraith».
Ma senta, tornando ad allora, come ha capito...
«Capire che era un bel libro, l'han capito in quattrocento milioni. Non era difficile. Capire la portata del successo, impossibile».
Che cosa si aspettava?
«Ragionevolmente, mi aspettavo di recuperare l'anticipo in qualche anno: avevo pagato tanto, ma avevo molti anni davanti, per continuare a venderlo. Sa qual è una cosa strana?»
Dica.
«Molti anni dopo, a casa di amici comuni a Londra, incontrai il produttore esecutivo del primo film, quello che poi aveva venduto i diritti alla Warner. E abbiamo capito, parlando, che l'avevamo letto nello stesso periodo».
Mica male anche per lui.
«No, non male. In effetti era molto contento, quando l'ho incontrato».
Quindi l'agente aveva subito venduto i diritti anche al cinema?
«Per me l'agente, Cristopher Little, è quello che ci ha creduto di più, fin dall'inizio. Un vecchio gentleman, coi capelli bianchi e i sopracciglioni. Era proprio sicuro di averci preso».
Non aveva torto.
«No. Ma non era facile. Era quasi più convinto lui di lei. Anche se poi, dopo Harry Potter, lei ha cambiato agente e si è affidata a Neil Blair».
Ha conosciuto la Rowling?
«Una volta a una cena, a Londra, con tutti gli editori europei. Molto gentile, una bella persona. Molto più popolana di quanto appaia».
Vede altri Harry Potter?
«Provano a propormene quasi tutti i giorni. Ma io rispondo: No, la mia religione mi impedisce di credere in un altro Harry Potter».
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