Credo di aver capito l'erotismo grazie a due esperienze singolari avute in gioventù: una a 10 anni, quando frequentavo la prima media all'Umberto I di Napoli, e un'altra, durante gli anni Sessanta, nel corso di una mostra d'arte futurista.
Come ogni sabato ero uscito di casa in divisa da balilla marinaretto. Stavo ancora per strada quando udii, provenienti dalla palestra, le urla del mio insegnante di ginnastica, il professor Carosone (da noi chiamato «Carotone» per via dei capelli color carota). Entrando, lo vidi in piedi su una pedana, attorniato da quelli della terza B. Gridava come un ossesso: le vene del collo gli si erano gonfiate a tal punto che sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro. «Attenti a voi!» urlava. «Se trovo quel figlio di puttana che ha lasciato in giro questa porcheria gli stacco i coglioni!». Secondo l'etica fascista le parolacce erano indice di virilità e Carotone si vantava di essere un esperto nel ramo. In aula, forse, si sarebbe controllato un po' di più, ma in palestra, e in particolar modo di sabato, non lo fermava nessuno. I ragazzi si accalcavano intorno a lui e si spintonavano l'un l'altro ridacchiando: erano eccitatissimi. Tutti volevano vedere la «cosa sporca» che aveva fatto imbestialire il professore. Mi feci avanti anch'io, ma non riuscii a scorgere nulla.
«Qui non siamo in un bordello!» strepitava intanto Carotone. «Siamo in una palestra fascista e, se qualcuno se lo è dimenticato, io glielo faccio ricordare a forza di calci in culo! Capito?». Mi chinai e, guardando tra le gambe dei ragazzi, intravidi quello che a me parve un innocente palloncino color latte, e che invece era un preservativo anteguerra, di gomma, spesso come il guanto di un chirurgo. Era stato gonfiato al massimo e legato con uno spago. «Che è successo?» chiesi a uno della terza B. «Sono cose che tu non puoi capire!» rispose lui, dandosi arie da persona vissuta. «Sei ancora piccolo!». Il cuore allora cominciò a battermi forte, ma così forte, che ebbi timore che qualcuno se ne potesse accorgere. Avevo paura e nello stesso tempo sentivo una strana eccitazione: avevo intuito che lì per terra c'era qualcosa di misterioso che aveva a che fare col sesso.
La seconda esperienza fu quella della mostra futurista. Mi consideravo già un uomo maturo ed ero convinto di sapere tutto quello che c'era da sapere sul sesso, quando incontrai un amico di infanzia, appassionato d'arte moderna. «Oggi alla galleria Duemila» mi disse «c'è una mostra tattile: è un'occasione che non ci possiamo perdere!». A essere sincero, non c'è niente dei futuristi che mi sia mai piaciuto, che so io, un quadro, una poesia, un testo teatrale, eppure, non so perché, mi sono sempre stati simpatici. Il loro cercare la bellezza lì dove non la cerca nessuno, la rottura sistematica con la tradizione, il rinnovarsi continuo come condizione di vita hanno esercitato su di me un fascino irresistibile. È un discorso che si potrebbe fare per qualsiasi tipo di avanguardia: l'arte ha sempre bisogno di apripista che sopportino gli sberleffi dei moderati (dei moderati come me, per esempio) per conquistare nuove prospettive alla creatività umana. Dicevano i futuristi: «Perché solo la vista e l'udito possono usufruire di piaceri estetici? Perché nessun artista si è mai preoccupato di far godere un pochino anche il tatto? Che cosa vi ha fatto di male il tatto per averlo così trascurato?».. E s'inventarono il teatro tattile, ovvero lo scorrimento, tra le poltrone, di un nastro continuo, proveniente dal palcoscenico, costituito da materiali di diversa ruvidezza: seta, iuta, velluto, spugna, carta e via immaginando. Lo spettatore, secondo il loro delirio, avrebbe dovuto essere bendato, per potersi meglio concentrare su quanto gli passava sottomano; nel contempo alcuni attori, ahimè anch'essi futuristi, avrebbero recitato rumori in sintonia con le superfici erogate. Ora io non so se questa forma di teatro sia stata mai realizzata, dubito però che abbia mai trovato un pubblico pagante.
Ma torniamo alla mostra: la rassegna era costituita da grandi scatole di legno, dentro le quali i visitatori erano pregati d'introdurre le mani. Ecco alcuni titoli che ricordo: Infinito semiliquido, Eternità, Limbo adolescenziale, Stazione d'arrivo. Nascosti all'interno degli scatoloni, gli oggetti più svariati: chiodi, pezze bagnate, spazzole, ovatta e mollette per i panni. Chiunque introduceva la mano in un contenitore non poteva fare a meno di ridere. In un'opera intitolata Senso di colpa era stato nascosto un barattolo pieno di marmellata e senza coperchio. Ogni volta che un visitatore lo centrava con la mano, erano risate garantite per tutti i presenti. Insomma, una specie di luna park.
Al centro del salone campeggiava una scultura intitolata Erotismo. Adesso non ricordo il nome dell'autore, ma ricordo benissimo l'oggetto. Si trattava di una tavoletta di gomma, quadrata, larga grosso modo quaranta centimetri per quaranta e alta cinque. Nella gomma erano stati praticati trentasei buchi, tutti disposti in fila per sei. Su un cartello si leggeva: «Introducete un dito nel buco preferito e fate attenzione che in uno dei buchi è stato nascosto un chiodo rivolto verso l'alto». Infilai subito l'indice nel primo foro in alto a sinistra e, non trovando nessun chiodo, cominciai a esplorare, con cautela, tutti gli altri buchi: più andavo avanti e più avevo paura di pungermi. Solo alla fine, quando mi resi conto che non c'era nessun chiodo, capii che cosa aveva voluto dire l'artista. L'erotismo è il battito accelerato del cuore di fronte al mistero.
L'erotismo è partire alla scoperta dell'America senza essere sicuri che ci sia una America dall'altra parte. L'erotismo è il possesso della persona amata unito all'ansia di perderla. L'erotismo è la continua ricerca del limite.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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