Croce, Einaudi e la libertà dalla teoria alla pratica

Croce, Einaudi e la libertà dalla teoria alla pratica

La polemica fra Benedetto Croce e Luigi Einaudi sul rapporto fra libertà economica e libertà tout court è un tema molto frequentato della cultura politica italiana. Sia fra i liberali, che ne hanno fatto motivo di litigiosità e divisione interne, sia fra i non liberali, che l'hanno usato spesso strumentalmente senza peraltro conoscerne adeguatamente i termini. Il pregio del libro che Giancristiano Desiderio ha appena pubblicato è di ricondurlo al contesto storico in cui maturò, al rapporto umano e di stima reciproca fra i due padri del liberalismo che lo animarono, al problema che entrambi si ponevano, concernente il presente e il futuro della libertà in un'epoca segnata dalle tragedie del totalitarismo.

Da Croce ed Einaudi. Teoria e pratica del liberalismo (Rubbettino, pagg. 102, euro 10) emerge una sorta di discorde concordia o dialettica armonia ove le idee dell'uno si integrano, piuttosto che opporsi, a quelle dell'altro. Croce, osserva Desiderio, afferma che l'impulso vitale alla base della libera iniziativa economica è lo stesso che è a fondamento della lotta umana per ogni tipo di libertà. La contraddizione sorge per lui quando la prima travalica l'ambito suo proprio di pertinenza e si trasforma in «legge suprema della vita», cioè in metafisica. Indubbiamente Einaudi, che aveva una mentalità più concreta ed empirica, aveva buon gioco nel far notare che, se la libertà economica è sacrificata, non può darsi vera libertà, perché ci sarà sempre qualcuno che ha in mano i mezzi per realizzare i nostri fini individuali. La mentalità filosofica e speculativa di Croce lo portava poi a cogliere un nesso non a tutti evidente, quello che di necessità lega l'errore e il male al vero e al bene: «non si è lontani dalla verità - osserva Desiderio - se si afferma che l'errore e il male sono gli istituti di garanzia dell'esistenza della libertà». In entrambi è viva la lotta contro le astrazioni intellettualistiche, tanto che Croce parlò di «religione della libertà» per sottolineare gli aspetti non razionalistici del liberalismo (ma forse anche la necessità che esso ha per realizzarsi di una comunità legata da comuni valori). Laddove però la concretezza einaudiana è quella della tradizione empiristica, quella di Croce si richiama alla lezione di Machiavelli e del realismo politico.

Questo volume mi è parso quasi una sorta di autobiografia intellettuale dell'autore, il quale non a caso

richiama in esso suoi precedenti lavori. Esso, come gli altri di Desiderio, si legge con gusto e facilità. E riconcilia con quella cultura che è saggezza e che è forse la vera latitante in questi nostri «tempi di povertà».

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