Attenzione, il telescopio Webb, quello che sta riscrivendo la storia dell'astronomia, ha un difetto: è omofobo. Negli Stati Uniti c'è una polemica, che si trascina dal 2021, contro il più raffinato strumento mai lanciato nello spazio dalla Nasa. Oltre millesettecento ricercatori hanno chiesto di cambiare il nome al telescopio che, proprio di recente, è riuscito a fotografare le galassie più antiche e dunque i momenti successivi al Big Bang. Le immagini sono finite sulle prime pagine e nei telegiornali di tutto il mondo.
Secondo gli estensori dell'appello di protesta, James Webb avrebbe partecipato alla discriminazione delle minoranze LGBTQ+ nel campo della astronomia, in particolare alla NASA. Webb è stato il secondo capo della agenzia spaziale americana. Sotto la sua guida, sono state realizzate molte delle missioni Apollo degli anni Sessanta. Lasciò nel 1968, appena prima della discesa sulla Luna. Di fatto ebbe un ruolo chiave nel rimediare al ritardo tecnologico della agenzia e nel battere i sovietici nella corsa al satellite della Terra. La polemica contro Webb è ora nuovamente decollata sulla scia dei successi del telescopio da 10 miliardi «erede» dell'altrettanto famoso Hubble.
Webb è accusato di aver avuto un ruolo nella persecuzione degli omosessuali nella pubblica amministrazione durante gli anni Cinquanta e Sessanta. Il fenomeno fu parallelo al maccartismo, la caccia alle streghe (comuniste) nel mondo dello spettacolo e della cultura. Non fu una campagna priva di conseguenze: molti omosessuali furono costretti ad abbandonare il posto di lavoro. Nel 1963, mentre Webb era a capo della agenzia, Clifford Norton, impiegato della Nasa, fu licenziato per «condotta immorale» dopo essere stato interrogato in quanto sospetto gay. In seguito, fece causa e vinse. Documenti interni alla Nasa, saltati fuori nel corso di una inchiesta, hanno messo in luce la politica anti-omosessuale nelle assunzioni dell'agenzia. Webb, dicono i detrattori, non fece nulla per eliminare questa discriminazione. A detta della Nasa, però, James Webb, che fu anche sottosegretario di Stato tra il 1949 e il 1952, non c'entra nulla: «Non abbiamo trovato alcuna prova che possa giustificare il cambiamento di nome del telescopio Webb». Parola di Bill Nelson, numero uno della agenzia, interpellato nel settembre dell'anno scorso.
Al di là della pretesa di cancellare il nome, il tema è più dibattuto di quanto si possa pensare. Ad esempio, è finito anche al centro di For All Mankind, una delle migliori serie tv di fantascienza, ancora in corso su Apple TV. Ambientata in un futuro alternativo, ma non troppo dissimile al nostro, racconta la corsa alla Luna, prima, e quella a Marte, dopo. Proprio la conquista dello spazio porta a superare discriminazione sessuale, razziale e di genere.
Una serie politicamente corretta (però di spessore) che vorrebbe mostrare l'avanzata in parallelo di progresso tecnologico e progresso sociale. Chiaro il sottinteso: non è andata così. Lo spazio è l'ultima frontiera della cultura woke.
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