Dario fu

Fo è morto a 90 anni. Fu repubblichino, fu amico degli estremisti e tra i firmatari del manifesto contro Calabresi. E poi grillino. Ma ora tutti lo celebrano in pompa magna

Dario fu

Dario Fo, Dario fu. E non solo perché è morto ieri all'età di novant'anni. Dario Fo fu tante cose che ieri, oggi, domani e chissà per quanto ci saranno ricordate nelle celebrazioni di giornali e tv non senza retorica, conformismo e ipocrisia. Tante, ma non tutte sicuramente saranno messe sullo stesso piano, per non turbare la memoria del premio Nobel giullare e non cadere in contraddizione con la storia dei celebranti, in primis sinistra e grillini. Con la stessa sfacciata irriverenza, cifra del dariofoismo, va ricordato che Dario Fo fu fascista, e non solo perché giovane durante il Ventennio. Dopo l'8 settembre poteva salire sui monti con i partigiani, ma lui aderisce alla Repubblica Sociale e quando marca male si defila e ricicla a sinistra. Passano gli anni, cresce cantando Bella Ciao e diventa il cantore del sessantottismo, simpatizza per la sinistra estrema e alcuni di quei gruppi sul filo della lotta armata. Fu tra i firmatari e portavoce del famoso manifesto degli intellettuali passato alla storia come la condanna a morte del commissario Calabresi.

Agli intellettuali, solo a quelli di sinistra, si perdona tutto. L'omicidio Calabresi avviene, quella rivoluzione fallisce dopo aver seminato sangue ovunque e Dario Fo, ovviamente, si defila e rilancia. Non più fascista, non più filo estremista, si dedica a tempo pieno all'impegno teatrale, inventa una lingua incomprensibile e una commedia, Mistero Buffo (un mix di populismo, comunismo e anticlericalismo) che gli aprirà la strada al Nobel del 1997.

La sinistra si appropria di questa buffa icona diventata intoccabile e lui non si sottrae all'abbraccio. Ricambia mettendosi per un ventennio alla testa dell'antiberlusconismo venerato come un Dio. È violento, volgare, arrogante. Solo la solita Fallaci osa scrivere di lui: «Un fascista nero diventato fascista rosso». Giorgio Bocca si limitò a definirlo uno che stava «nell'alone del terrorismo». Quando anche il partito post comunista si sfalda e il berlusconismo non è più il nemico assoluto da abbattere, Fo cambia ancora e, da buon cortigiano, passa a Grillo, suo nuovo e ultimo protettore.

Dario Fo cantò la lotta di liberazione al potere servendo il potente di turno e accettando il Nobel, il premio più politicamente corretto del mondo, dalle mani di un Re e indossando lo smoking. Il mistero davvero buffo è come la sinistra, che oggi lo onora, sia caduta nella trappola di uno nato fascista e morto grillino.

Noi manteniamo il punto: Dario fu, amen.

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