Dopotutto gli bastava una battuta. Di solito feroce. Senza sconti. Raimondo Vianello, che è scomparso dieci anni fa, è stato uno dei comici più implacabili di sempre. Con Paolo Villaggio e Ugo Tognazzi tratteggia quell'ironia che non guarda in faccia a nessuno ma che, nello stesso tempo, non offende nessuno perché non è volgare, non è allusiva, non ha altro scopo che far sorridere e, magari, riflettere. A differenza dei tanti (troppi) comici di quest'epoca, sempre più disposti a patteggiare con le parolacce o la politica per garantirsi l'applauso facile, Raimondo Vianello, classe 1922, ha appoggiato il proprio talento all'educazione, al rispetto e alla totale trasparenza. Forse lo aveva imparato dal padre ammiraglio o dalla madre marchesa, Margherita Maria della famiglia Accorretti. O, più semplicemente, era il frutto della sua indole pigra e nobile, che gli fece fare tutto quasi per caso. Studiò per diventare avvocato ma era meglio nel dribbling, al punto che il Palermo gli avrebbe pagato lo stipendio per un campionato in serie B e finì a fare l'attore solo perché aveva accompagnato un amico a un casting. L'amico fu scartato. Lui, così dritto così pungente, fu arruolato. Raimondo Vianello era il commediante perfetto perché sul palco recitava se stesso e difatti nessuno, o quasi, gli rinfacciò mai i mesi di detenzione nel campo degli Alleati a Coltano, nel 1945, per la sua adesione come sottufficiale dei bersaglieri alla Repubblica Sociale Italiana. Era troppo super partes, questo lungagnone che non sbagliava un congiuntivo neanche a pagarlo. Lo dimostrò in sessant'anni di televisione, prendendo in giro tutti a partire da se medesimo, e anche al cinema dove (in film, bisogna ammetterlo, mai memorabili) era spesso la parodia di se stesso, l'esasperazione dell'umorismo british e delle categorie aristocratiche dell'epoca.
Da Totò sceicco di Mario Mattoli (1950) a Il Mantenuto di Ugo Tognazzi (1961) fino a La vedova del nonno di Marino Girolami (1968), è una galleria di personaggi che hanno fatto scuola.
A proposito, Tognazzi.
Con lui creò la coppia comica più celebra tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nonché la prima a essere drasticamente censurata dalla Rai. In Un due tre, probabilmente il primo esempio di satira televisiva, presero in giro il presidente della Repubblica Gronchi (caduto per terra alla Scala di fianco a De Gaulle) e furono cacciati seduta stante. Un episodio che oggi scatenerebbe l'inferno ma che, allora, servì soltanto a dare la patente di credibilità a due attori venuti davvero dalla gavetta. Tanto per capirci, nessuno di loro utilizzò l'incidente per fare propaganda o contestazione: era semplicemente il prezzo da pagare per due artisti che non facevano compromessi. Quando si dice il mestiere.
Con le sue battute feroci, Raimondo Vianello ha colorato di humour tanto cinema ma anche tanta televisione, grazie a spettacoli (quelli erano davvero varietà) che andarono in onda sulla Rai fino al 1981, con Stasera niente di nuovo, e poi su Mediaset dove partì la seconda vita artistica di questo signore educato, molto conservatore, mai fuori dalle righe. La vita personale, in fondo, era già segnata da decenni, da quando aveva incontrato Sandra Mondaini, figlia del pittore Giacinto, che sposò nel 1962 e gli sopravvisse soltanto cinque mesi. Un segno rarissimo di amore e condivisione nel mondo solitario (e solipsistico) dello spettacolo. Al di là di qualche film e dei varietà, la sublimazione della coppia Vianello-Mondaini si è trasformata nel ritratto più implacabile e dolce dei matrimoni che resistono nel tempo. Dal 1988 al 2007 la sitcom Casa Vianello (la più longeva della tv italiana con 16 stagioni e 338 episodi) è diventata fonte di slogan tuttora vitali («Che noia che barba») e termine di paragone per le convivenze più sincere: lui sul letto a leggere la Gazzetta dello Sport e lei a protestare. Un classico. Perciò oggi, a dieci anni dalla morte, Raimondo Vianello è ancora più anomalo di quanto lo fosse allora.
Non solo perché era eclettico (condusse Sanremo e anche Pressing per anni) ma perché era indipendente e adesso sembrerebbe un extraterrestre su di un palcoscenico televisivo che si aggrappa sempre più spesso, sempre più tristemente, alla volgarità oppure agli schieramenti politici per prendere spettatori. A lui non serviva. Gli bastava una battuta. Senza parolacce. E con i congiuntivi al posto giusto. E la risata era assicurata.
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