Il direttore d'orchestra Cate Blanchett le suona al "Metoo" e si candida a un premio

Magistrale interpretazione dell'attrice nel film "Tár" che fa a pezzi i luoghi comuni del politicamente corretto e il "narcisismo delle differenze"

Il direttore d'orchestra Cate Blanchett le suona al "Metoo" e si candida a un premio
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nostro inviato a Venezia

Domanda: siamo così sicuri che se mettiamo una donna in un posto di vero potere, circondata da altre donne in posizioni chiave, e facciamo irrompere violentemente e genialmente il femminile in un mondo tradizionalmente maschile, maschilista, tradizionalista e patriarcale come la musica classica, le cose andranno meglio di quanto siano andate finora?

I grandi film, come si sa, non sono quelli che danno risposte, ma quelli che sanno porre le domande giuste nel momento più necessario. Che è ciò che fa, con una liberatoria scorrettezza intellettuale pari all'enorme coraggio produttivo, il film Tár, passato ieri in concorso alla mostra del cinema di Venezia, scritto e diretto da Todd Field (sono passati sedici anni dall'acclamato Little Children) e con protagonista assoluta, in scena dalla prima all'ultima inquadratura, una stupenda Cate Blanchett, presidente di Giuria qui al Lido nel 2020 e che con la sua interpretazione si guadagna una candidatura pesante, per un Leone e - chissà - per gli Oscar.

Tár, titolo del film, è il cognome di Lydia, personaggio di fantasia (per ora): figura di primissimo piano della musica mondiale, compositrice e direttrice d'orchestra osannata dalla critica, prima donna di sempre chiamata a dirigere un'orchestra tedesca, a Berlino (per il ruolo Blanchett ha imparato il tedesco, a suonare il pianoforte e a dirigere, lavorando con la Dresdner Philharmonie). Una donna di talento assoluto (ha scalato i ranghi delle «Big Five» orchestre americane ed è una delle poche persone al mondo ad aver vinto un premio Emmy, Grammy, Oscar e Tony), dal carattere difficilissimo e autoritaria. Si segnala la scena in cui Lydia improvvisa un'orchestra con animali di peluche per la figlia, spiegandole: «La musica non è una democrazia». Sul podio è granitica e inflessibile, giù dal podio è fragile e ambigua.

Come ha spiegato il regista nell'incontro con i giornalisti dove curiosamente si è parlato di tutto, tranne che del tema più delicato del film: ossia il rapporto fra arte e moralità, lo tsunami tanto devastante quanto spesso ingiustificato del #MeToo e le relazioni scivolose fra politica dell'identità e cancel culture «Il film è un viaggio molto lungo in un tempo molto breve», dove i tempi sono anche quelli musicali e il viaggio sono le tre settimane della vita della protagonista in cui dall'Olimpo della musica, come artista, scivola nella palude, neppure tanto metaforica, dell'umiliazione, come essere umano.

Lydia-Blanchett, all'apice della carriera e della vita sta per compiere 50 anni - è attivissima sia sul piano intellettuale (contemporaneamente sta preparando la registrazione dal vivo della Deutsche Grammophon della Sinfonia N. 5 di Gustav Mahler e lanciando la sua autobiografia) sia sul piano fisico (allenamenti, corsa e boxe). Regina di un mondo che abbiamo sempre visto appannaggio del maschio, è circondata da sole donne: vive con una compagna (Nina Hoss), che è anche il suo primo violino, con la quale cresce una figlia adottiva (Noémie Merlant); ha un'assistente giovanissima che ambisce a diventare una direttrice d'orchestra; e si invaghisce di una ambigua violoncellista, l'esordiente Sophie Krauer, una vera musicista londinese selezionata tra centinaia di candidate e che debutta come attrice in un ruolo chiave del film (a proposito, chi se ne intende dice di fare attenzione alle sonorità maestose di Hildur Guðnadóttir, un'altra donna, premio Oscar per la colonna sonora di Joker nel 2020).

Ed eccoci nel centro della storia, che parlando di successo, fallimento e gestione del potere, ci interroga su come dobbiamo giudicare una donna - da tutti chiamata al maschile, «Maestro» - dalle capacità artistiche uniche che a un certo punto viene accusata («Ma nel nostro mondo ogni accusa è già una condanna», le ricorda il suo vecchio mentore) di usare il suo carisma per ottenere favori sessuali dalle orchestrali; di avere (forse? e fino a che punto? ma è dimostrabile?) spinto al suicidio una ex allieva che si è sentita tradita dalle sue scelte; e di aver pronunciato durante una lezione frasi equivoche sulla parità di genere. Sarà un caso, ma in sala (accade raramente) è partito un applauso quando a uno studente che si definisce non-binario e si rifiuta di suonare Bach perché «maschio, bianco e eterosessuale», e che per di più «ha avuto dieci figli da due mogli»), Lydia-Blanchett che è donna, lesbica e sessualmente disinvolta risponde sprezzante che «Il narcisismo delle differenze esalta il più bieco dei conformismi».

E

adesso, dopo che la Blanchett ha detto che «le molestie non dipendono dal genere», cosa diranno le neofemministe gender fluid sempre convinte che soltanto gli uomini sono tentati dall'abuso della loro posizione di potere?

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