Se non ora, quando? Adesso, mentre il caso Weinstein è ancora sullo sfondo e la scena risulta affollata di sfoghi postumi, anche venti-trent'anni dopo le presunte molestie, è adesso che urge la parola alle attrici italiane. Così centoventiquattro attrici, registe, produttrici e professioniste delle comunicazioni si sono confrontate per due mesi, firmando un manifesto, redatto in stile anni Settanta - come un volantino al ciclostile, però formato large e pubblicato su Repubblica on line - «per una società che rifletta un nuovo equilibrio tra donne e uomini». Per la verità, le signore del cinema americano si erano già mosse da tempo fa sullo stesso terreno e ormai il movimento #MeToo, dopo le nomination agli Oscar, inizia anche a ricevere critiche e a essere al centro di alcune polemiche (anche da parte delle femministe).
Però in Italia è sempre l'ora del «Dissenso comune», come s'intitola la lettera delle donne «unite per una riscrittura degli spazi di lavoro». Che cosa significa? Magari che Kasia Smutniak, brava attrice polacca tra le firmatarie del manifesto «contro il sistema», apprezzata anche dall'esigente Nanni Moretti, potrebbe smettere di recitare nei film prodotti dal compagno, il produttore Domenico Procacci. Così, tanto per «riscrivere gli spazi di lavoro». Oppure che la regista Cristina Comencini, figlia di Luigi che ha messo in cartellone il nome di lei e delle sue sorelle, correrà a rinnegare le opere sfornate sotto l'usbergo dell'ex-marito produttore, Riccardo Tozzi. Probabilmente Elisa Fuksas, figlia dell'archistar, sentirà il desiderio di farsi largo nell'audiovisivo da sola, adottando un nome d'arte per diversificarsi da papà. «Non è la gogna mediatica che ci interessa», vergano le vestali dello star system nostrano. Perché «la molestia sessuale non ha niente a che fare con il gioco della seduzione», chiosa l'attrice Valeria Solarino, nel tempo della sua carriera sostenuta dal compagno-regista Giovanni Veronesi. Anzi. «La molestia sessuale è fenomeno trasversale. È sistema», in un contesto di «sessualizzazione costante e permanente degli spazi lavorativi».
Il linguaggio usato in tale dazibao da bacheca di Cinecittà ricorda certi stilemi usati dalle protofemministe pronte ai gruppi di autocoscienza. Soltanto che qui Miriam Leone, sovente senza veli sul set, e Giovanna Mezzogiorno, che nel film di Ozpetek, Napoli velata esibisce il suo corpo nudo per assecondare il desiderio del partner, non sono «attrici in quanto corpi pubblicamente esposti». No, esse hanno «il dovere di farsi portavoce di questa battaglia per tutte quelle donne che vivono la medesima condizione sui posti di lavoro, la cui parola non ha la stessa voce o forza». Noi sappiamo che una segretaria d'azienda o una commessa di supermarket possono subire molestie sul posto di lavoro, o anche prima di arrivarci. Perché «la scelta davanti alla quale ogni donna è posta sul luogo di lavoro è: Abituati o esci dal sistema», riflettono le 124 signore, che hanno la forza «per smascherare il sistema e ribaltarlo».
Che cosa penserà, di tali affermazioni, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, fratello della sceneggiatrice Giulia, agitprop insieme alla loro mamma Comencini? E Paola Cortellesi starà bene attenta, a casa col marito regista Riccardo Milani, a vegliare sulla «macchina della rimozione», che vorrebbe zittire lei e le altre. Cristiana Capotondi, però, non ha evitato d'andare a cena con il presunto molestatore Fausto Brizzi, nonostante i processi televisivi intentati al regista amico dei Vanzina.
Intanto Isabella Ferrari e Ambra Angiolini, assai contigue, da bambine, al defunto Gianni Boncompagni che le voleva fresche e yè-yè, non si sentono «creature narcisiste, disposte a usare il loro corpo come merce di scambio pur di apparire».
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