Il doppiaggio sul Red carpet di Veneziae la poesia del gigante e la bambina

Al Festival del Cinema ha sfilato per la prima volta nella Storia il mondo del doppiaggio: mano nella mano il veterano Luciano De Ambrosis e la piccola matricola Charlotte Infussi D’Amico hanno raccontato con un’immagine simbolica una magnifica arte italiana

Luciano De Ambrosis e Charlotte Infussi D’Amico sul red carpet di Venezia
Luciano De Ambrosis e Charlotte Infussi D’Amico sul red carpet di Venezia

«Il mondo va così…». diceva, più o meno, il comandante Drumlin alla Jodie Foster del film «Contact» prima di imbarcarsi sulla macchina interstellare. Le aveva appena rubato i meriti e il comando di quel viaggio verso realtà sconosciute, giustificava quel furto con il cinismo degli uomini, con la morale dell’opportunismo che tutto assolve, così va il mondo, così sono gli uomini, non ci puoi fare nulla, fattene una ragione. Non è così signore - lo guardò fisso negli occhi Jodie in quel film - il mondo non va così: il mondo è come tu lo fai…»

Amo da sempre le voci del cinema italiano: da bambino, quando la tv era una e i canali due, la sera ascoltavo sotto le coperte «Il film alla radio», una versione smart dei filmoni americani, tagliata e cucita per le onde medie, per farti vedere ciò che non potevi vedere. Non c’erano John Wayne, Cary Grant o Grace Kelly, ma le loro voci italiane: le sapevo riconoscere tutte, come gli strumenti musicali di un’orchestra, senza sapere di chi fossero. Non avevo bisogno delle facce per entrare nel film: mi bastavano loro.Per questo quando mezzo secolo dopo, la settimana scorsa, ho visto sfilare il doppiaggio, le voci italiane, sul red carpet, cioè nel cuore, del Festival del cinema di Venezia, l’Oscar italiano, europeo e anche un po’ quello americano, mi è tornata in mente quella radiolina color oliva dove ascoltavo il film alla radio. Non sono più nascoste nel buio della mia stanza, adesso hanno finalmente addosso la luce delle stelle.

Mano nella mano hanno sfilato sul tappeto rosso la tenerezza compita di Charlotte Infussi D’Amico, sette anni, la più piccola doppiatrice d’Italia, una Cenerentola in formato bonsai, e lo stile nobile e antico di Luciano De Ambrosis, che gli ottanta li ha appena passati, il Re Artù del doppiaggio italiano, il nostro Sean Connery non solo perché gli dà la voce. Sono ieri, oggi e domani del doppiaggio, il veterano e la matricola, il gigante e la bambina, così lontani e così vicini tra loro, gli ambasciatori e il simbolo un po’ di tutti, dagli Emilio Cigoli, dai Giuseppe Rinaldi, dai Pino Locchi che non ci sono più a quelli che hanno appena cominciato, cghe sono piccoli ma cresceranno. Ho pensato che il doppiaggio, quest’antica arte nascosta che ha fatto la Storia del cinema e la Storia d’Italia, non poteva che essere lì, dove non era mai stata, l’ombelico del mondo del cinema. Lì dove merita.

Due minuti di passeggiata, un attimo in fondo, ma credo che Charlotte non dimenticherà mai questa favola minore, vissuta da bambina, davanti agli occhi lucidi di mamma Domitilla, lei che è una regina del doppiaggio per una volta damigella della figlia. Così come non è stato difficile sentire il batticuore di Luciano che a Venezia era una star da bambino, quando De Sica lo scelse per inaugurare la stagione del neorealismo italiano. Diceva Kirkegaard: la vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti.

Per farli arrivare lì, dove meritano, hanno lavorato in tanti, da Giulia Perfili, editrice di O’ Magazine, ad Angelo Zanellato, presidente della Polesine film Commission, da Maurizio Pittiglio, inventore della mostra AttorInvoce, a Simonetta Caminiti, co-autrice del libro «Senti chi parla».

E anche quel bambino che ascoltava i film alla radio con un transistor color oliva. Tutto è cominciato sotto le coperte di un bambino ed è finito con una bambina sotto la luce del mondo. Sembrava una mission impossible. Non ascoltate il comandante Drummlin: il mondo è proprio come tu lo fai...

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