"Ma dove vai Rider in bicicletta? Sei il nuovo Candido"

L'uomo delle consegne è sempre più oggetto letterario. Anche in un romanzo italiano... Intervista a Guido Maria Brera

"Ma dove vai Rider in bicicletta? Sei il nuovo Candido"

«Quando gli danno il lavoro, gli danno anche una pistola»: così Neal Stephenson descrive il Deliverator, il fattorino delle consegne o rider, come si dice oggi, nel suo romanzo Snow Crash (Rizzoli, 2007). Una figura epica, uno di quegli «antichi nuovi di zecca» che rappresentano gli eroi contemporanei. Quello di Stephenson era un romanzo cyberpunk e il protagonista portava pizze-lampo in un'America schiava della tecnologia. Il Candido di Guido Maria Brera e del collettivo di Diavoli (La nave di Teseo, pagg. 224, euro 18) è invece un ragazzo nostrano, che pedala nella Milano post-contemporanea per sbarcare il lunario al soldo dei colossi del delivery. «Tutto va bene» proclama dagli schermi metropolitani Pangloss, il filosofo del sistema, e Candido ci crede. Finché un giorno gli tocca ammettere che «la sofferenza è parte integrate di ogni essere umano» e lui ci è immerso fino al collo, altro che gig economy e pari opportunità per tutti. Il verbo voltairiano rinasce grazie a Brera, ex banker, tra i fondatori del gruppo Kairos, che aveva già sbancato con il romanzo I Diavoli (Rizzoli, 2014), divenuto una serie di successo per Sky, e a un «collettivo» di scrittura omonimo nato sul web. Candido è già deciso che diventi un film, prodotto dai Diavoli: già ristampato, potrebbe essere oggi nelle tasche degli attivisti dello sciopero dei rider, atipico manifesto generazional-professionale.

Perché Candido?

«Attualizzare Voltaire è una mia ossessione, da anni. Non ho mai capito perché, già all'inizio degli anni Duemila, proliferava questa assurda narrativa che alla fine raccontava proprio questo: che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Eppure la globalizzazione già dettava le regole: potevi delocalizzare ma in Cina, potevi lavorare ma non venivano rispettati i tuoi diritti civili, si potevano pagare meno tasse, pagare meno i prodotti, ma anche inquinare. Un mondo che piano piano si svuotava, secondo un dispositivo per cui il capitale veniva messo nelle condizioni migliori per proliferare, ma in modo tale che al tempo stesso questo nuocesse, inevitabilmente, alle intere strutture sociali dei Paesi, devastasse le generazioni, manomettesse la regola fondamentale del mercato: tutti devono avere le stesse regole per avere le stesse opportunità. Un mondo decantato soprattutto dalle sinistre occidentali».

In che modo?

«Ricordo un libro, The world is flat, del saggista del New York Times Thomas Friedman. Il mondo è piatto, come dire Tutti hanno le stesse possibilità di riuscita: faceva l'endorsement di un mondo che poi ha prodotto tutto l'opposto di ciò per cui veniva decantato».

E invece lei voleva riscrivere «Candido».

«Sì, ma per anni ho fatto fatica a capire chi fosse. Poi gli stati si sono spostati nelle città o meglio le città sono diventate Stato. E allora chi meglio del rider, attratto con promesse di poter lavorare quando vuole, diventare imprenditore di se stesso con gli orari che lui desiderava e poi sfruttato, poteva rappresentarlo? La narrativa della gig economy, così benevola all'apparenza nei confronti di quelli che ci si avvicinano, ha come prima vittima proprio il mio Candido».

Dal suo osservatorio privilegiato di uomo di finanza, si è fatto un'idea di quando tutto questo abbia avuto inizio?

«Dopo il crollo, nel 2008, di quel pezzo del sistema che si basava su erogazione facile di credito e illusione di ricchezza con merci a basso costo, che chiedeva in cambio la rinuncia ai diritti delle classi medie e più deboli. A quel punto, l'immensa quantità di capitale riversata sugli stati che dovevano salvare le banche va in cerca di rendimento. E nasce la tecnofinanza. Algoritmi, accelerazione tecnologica incalcolabile e un modo di intendere il lavoro che scardina cento anni e oltre di lotte per i diritti. Il dipendente diventa imprenditore di se stesso, i diritti del lavoratore diventano rischi. Si torna al Medioevo».

Ma Candido tutto questo non lo sa.

«Candido è un rider felice: gli hanno detto che pedalando può guadagnare bene. Ha un capo giusto, che non ha simpatie né antipatie. Il lavoro sembra meritocratico: più pedali più ottieni. Ma poi scopre che se fa male a qualcuno o qualcosa deve pagare lui. Che l'algoritmo gli detta i tempi di consegna. Che è uno schiavo».

Qual è la morale?

«In Candido convivono tre ere: l'era della grande illusione, per cui la tecnologia può farci lavorare di meno e liberarci dalla durezza dell'esistenza; l'era della rabbia, verso quella che Papa Francesco chiama tirannia invisibile, a volte virtuale, verso le piattaforme contro cui nulla puoi fare; l'era della nostalgia, in cui lo stato torna sovrano. Ognuno di noi elabora queste narrative come meglio crede. La morale è che bisogna tentare la quarta via».

Ovvero?

«Raccogliere il progresso tecnologico e metterlo a frutto per la collettività intera, con piattaforme che si basano su un algoritmo che deve rispettare i diritti dei lavoratori».

Molti le chiederanno perché proprio lei, che si occupa di economia, si metta a difendere questa via

«A casa mia, le aziende assumono lavoratori e gli danno diritti. Se arriva uno che può permettersi di non assumere, muoiono anche le aziende di casa mia, non solo i lavoratori».

Quali forze remano contro questa quarta via?

«L'abbaglio delle sinistre

occidentali rispetto a una tecnologia che si è rivelata più estrattiva di quando si pensasse, la lentezza della politica nel reagire. E la pandemia, che ha peggiorato la situazione, accelerando il delivery non sostenibile».

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