Draghi, Santi, Ariosto e il Po. L'arte padana? È fantastica

Quarantuno pittori contemporanei documentano l'anima di una terra che armonizza realtà e fantasia

Draghi, Santi, Ariosto e il Po. L'arte padana? È fantastica

La mostra Pittori fantastici nella Valle del Po è l'arte del nostro tempo, del nostro spazio e di 41 artisti fantastici, qualunque sia l'accezione che vogliamo dare all'aggettivo.

Su quale sia il nostro tempo credo non ci siano dubbi: 2020. Riguardo lo spazio la faccenda è ancora più chiara: la mostra ha sede a Ferrara, nell'ultimo tratto del lungo corso del Po. Anche i cosmopoliti, i senzafrontieristi che vogliono estirpare ogni differenza culturale, dovranno convenire che non siamo in Liguria né in Sicilia, né tantomeno nello Yucatan o nello Yemen, e che questa è proprio la Valle del Po, definizione geografica e poetica (alla maniera di Mario Soldati) che mi sembra tuttora la più valida per dire l'intero bacino dal Monviso al Delta e che non è tutto Pianura Padana, vista la parte iniziale montagnosa. Pertanto Pittori fantastici... è più di una mostra d'arte contemporanea: è una mostra d'arte vivente, come tutti i suoi 41 protagonisti. Molto più di una mostra d'arte genericamente italiana o ancor più genericamente internazionale: è la mostra dell'arte peculiarmente padana. Bellezza che, in questa forma, non potrebbe esistere altrove.

Non ho paura di un'arte che rappresenta, che documenta. Un'arte del tutto aderente all'Italia o Norditalia del 2020 sarebbe già notevole, descriverebbe persone, sentimenti e ambienti e dunque molto più del nulla voluto dai teorici della morte dell'arte. Esprimerebbe molto più dell'inespressionismo auspicato da Germano Celant buonanima. Smentirebbe, e scusate se è poco, l'ideologia mortifera della fine dei luoghi, della storia e dell'uomo. E però in Pittori fantastici... spesso viene superato anche il soggetto territoriale, grazie al valore degli artefici invitati. Io distinguo gli eccellenti pittori dalla massa degli artisti seriali perché i primi possiedono «un mondo o un modo», o ancor meglio entrambi, ovvero, in una parola, originalità. Di conseguenza a Ferrara possiamo godere di 41 visioni che si differenziano anzitutto per singolare genio e poi per stile (dal quasi-iperrealismo alla quasi-astrazione), tecniche (olio, acrilico, matita, penna, pennarelli, pastelli, spray, bitume, carbone, foglia d'oro...), supporti (finanche il velluto!), dimensioni (dai 20x30 cm di Mazzoni agli oltre tre metri di Carrà)... L'arte è bella perché è varia.

E per quanto riguarda il fantastico, l'aggettivo del titolo? Per molti quadri in mostra vale senza dubbio l'accezione «2c» del Vocabolario Treccani, il fantastico «usato con valore superlativo e ammirativo». Per alcuni vale senz'altro l'accezione «2a»: «Creato dalla fantasia, che è frutto di fantasia, o in cui ha parte prevalente la fantasia». Seguendo l'idea convincente del surreale che compensa la piattezza del reale, del sogno che scaturisce più bizzarro dalla pianura più uniforme, in una sorta di gemellaggio fra la Padanìa di De Chirico e Mantovani e il Belgio di Magritte e Borremans. Ma la mia indole prosaica (per capirci: preferisco l'Ariosto delle Satire a quello dell'Orlando furioso) mi spinge verso un pensiero che contemperi realtà e fantasia, senza contrapporle, un pensiero che mi sembra spiegare meglio molte delle opere presenti, il pensiero di Andrea Emo, filosofo limitrofo in quanto non padano bensì pavano, padovano: «L'arte deve presentare come meraviglioso, tutto ciò che è abituale, quotidiano, reale; e dimostrare questo meraviglioso, il fantastico, non già volando al di là del reale, ma rendendo il reale simile a se stesso, facendolo divenire ciò che è».

Tutti gli artisti in mostra sono nati o residenti in prossimità del più lungo fiume d'Italia. Tutte le opere sono legate al territorio: alcune erano già esistenti, molte sono state realizzate appositamente, su mia sollecitazione, per provare a ricreare il nesso umanistico, e dunque umano, fra luoghi e committenza, fra luoghi e arte. John Armstrong e Alain de Botton hanno scritto che «la sfida è riscrivere gli scopi delle committenze in modo che l'arte inizi a rispondere ai nostri bisogni psicologici con la stessa efficacia con cui per secoli ha risposto a quelli della teologia o delle ideologie». Mai come in questo disgraziato periodo abbiamo bisogno di autostima, entusiasmo, consolazione, incanto, orgoglio individuale e collettivo, tutti stimoli che i quadri alle pareti del Padiglione d'Arte Contemporanea di Ferrara generosamente ci offrono. Città, paesi, ponti, chiese, parchi, risaie, pesci, Santi patroni, personaggi di Ovidio o dell'Ariosto o della vita moderna vengono qui pittoricamente celebrati, animati dal soffio di un'arte da intendersi come risarcimento e terapia.

Per motivi di spazio posso qui limitarmi solo a pochissimi esempi (gli altri li troverete in mostra e nel catalogo). A Enrico Robusti (Parma, 1956) e al suo Affettazione liturgica: la commedia umana del più balzachiano dei pittori si fa quintessenziale rito parmigiano e inevitabilmente al posto dell'ostia c'è una rossa fetta di culatello... A Nicola Verlato (Verona, 1965) e al suo Studio per Caduta di Fetonte, groviglio michelangiolesco di muscoli, ruote e cavalli, brano di pittura con la potenza di una scultura, pezzo di bravura del campione della pittura forte, strenuamente impegnato nella riscoperta, non archeologica bensì umanistica, della classicità. A Valentina D'Amaro (Massa, 1966) e alla sua verdissima risaia Senza titolo che è anche, per fortuna, senza zanzare: natura senza naturalismo, natura migliorata. A Giuliano Guatta (San Felice del Benaco, 1967) che bisognerebbe chiamare Giuliano da San Felice, alla maniera dei pittori antichi perché lui, come loro, ai Santi ci crede davvero e forse perfino ai draghi: nessun altro pittore vivente avrebbe potuto regalare a Ferrara un San Giorgio e il drago mosso da tanta fede e da tanta energia. A Nunzio Paci (Bentivoglio, 1977) e al suo Vita, morte e miracolo alla Mesola che sorvola i secoli su ali di fiaba, come un nuovo Pisanello (Visione di Sant'Eustachi). A Nicola Samorì (Forlì, 1977) e al suo Pastorale, quasi un gioiello (è dipinto su onice) e quasi una restituzione, essendo ispirato al San Giovanni Battista del ferrarese Ercole de' Roberti, oggi conservato, ahinoi, alla Gemäldegalerie di Berlino.

Un'ultima cosa: la mostra Pittori fantastici nella Valle del Po riporta al centro della produzione artistica Ferrara, ancora una volta capitale, proponendosi di riattivare il glorioso policentrismo padano oggi sofferente per la fortissima attrazione esercitata da Milano (quando sappiamo che l'arte italiana deve moltissimo a città medie o piccole

quali, oltre alla città estense, Mantova, Parma, Brescia, Cremona...). Ancora una volta, tanti anni dopo l'Officina ferrarese e la Metafisica, grandi artisti italiani si affacciano sulle rive del Po e cominciano a dipingere.

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