E Kabir Bedi scoprì di essere... Sandokan l'eroe degli italiani

L'attore indiano, nella sua autobiografia, racconta l'improvviso successo raggiunto nel nostro Paese

E Kabir Bedi scoprì di essere... Sandokan l'eroe degli italiani

Speravo che la mia serie TV Sandokan, che dieci giorni prima era approdata in Italia, mi avrebbe portato nel firmamento della celebrità. Ma non ero sicuro di come fosse andata. Anzi, ero seriamente preoccupato. Nessuno mi aveva chiamato dall'Italia e nessuno era raggiungibile. Anche la mia agente, Emi De Sica, figlia del leggendario regista Vittorio De Sica, non aveva chiamato, né rispondeva alle mie chiamate (in seguito parlò di una crisi personale). Negli anni Settanta, comunicare con l'estero non era facile. Niente Internet, niente mail, niente cellulari. Le chiamate a lunga distanza dovevano essere prenotate sui telefoni fissi tramite operatori telefonici che richiamavano dopo ore. Il regista Sergio Sollima era perennemente irraggiungibile, il suo telefono «ancora occupato, signore». Anche il produttore Elio Scardamaglia non aveva chiamato, né nessun altro della RAI. Quel silenzio collettivo sembrava un presagio di cattive notizie. Tuttavia, una chiamata solitaria di un giornalista italiano, Corrado Corradi, mi aveva dato un briciolo di speranza. Aveva il mio numero da quando era venuto in India, tre mesi prima, per un articolo che la più popolare rivista italiana, TV Sorrisi e Canzoni, avrebbe pubblicato prima della messa in onda. Parveen e io sembravamo un principe e una principessa indiani nelle foto che il suo fotografo aveva scattato al Lake Palace di Udaipur.

«La tua serie è un grande successo» aveva detto Corrado nel suo inglese stentato, attraverso i disturbi della linea telefonica. «Devi venire». Il suo incoragiamento fu sufficiente a farmi prenotare i biglietti per Roma. Mentre l'aereo rullava rallentando sulla pista, vidi un accenno di sorriso sulle labbra di Parveen. Mi rassicurò. Mi fidavo del suo istinto di attrice.

Quando scendemmo dall'aereo, i flash dei paparazzi ci accolsero con uno sbarramento accecante dal bordo della pista. Non potevo credere che mi stessero fotografando e mi girai per vedere quale celebrità fosse dietro di noi, ma una gomitata nelle costole da parte di Parveen mi riportò alla realtà.

«Sorridi» sussurrò. «Sono qui per te».

Fu uno di quei momenti che ti cambiano la vita. Nel guardare la folla di fotografi ai piedi della scaletta, sentii una scarica di adrenalina. Ero una star in Italia? Me lo chiesi incredulo. Parveen mi fece strada mentre salutavo come un imperatore appena incoronato. Eravamo una coppia perfetta: esotici, giovani e affascinanti. I fotografi incespicavano gli uni sugli altri nella fretta di immortalare il nostro arrivo. Questa scena all'aeroporto sarebbe diventata la norma a ogni mia visita in Italia: folle di persone, giovani e meno giovani, che gridavano «Sandokan! Sandokan!» e si lanciavano verso di noi mentre ci dirigevamo verso una Mercedes in attesa. La gente mulinava intorno a me, spingendo e spintonando, chiedendomi l'autografo. Niente selfie a quei tempi. I fan mi stringevano la mano, mi baciavano, mi tiravano i vestiti, tutti volevano un pezzo di me. In quell'occasione, alcuni troppo impazienti spinsero Parveen da parte mentre cercavamo di salire in macchina. Le misi un braccio attorno alle spalle e mi scusai, ma lei era furiosa e mi ignorò.

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Avevo chiesto a Corrado, il giornalista che mi aveva sollecitato a venire, di trovarmi «un bell'albergo»: mi aveva prenotato il più caro di Roma. Come diavolo avrei fatto a pagarlo? Non avevo guadagnato una fortuna con Sandokan, né nei miei pochi film indiani. E a quei tempi la più grande seccatura era far uscire soldi dall'India: c'erano limiti molto rigidi. Era strano che, con la celebrità alle porte, io mi preoccupassi di come far quadrare i conti. Ma i grossi compensi erano nel futuro, le spese nel presente. Le carte di credito e di debito non esistevano, all'epoca. Sapevo che sarebbe stato un grosso problema, ma lo misi da parte per affrontarne uno più urgente. L'umore cupo di Parveen mi preoccupava, anche se capivo le sue ragioni: era una star e non le piaceva essere messa in disparte; in India era sempre al centro dell'attenzione. Quando non riusciva a esprimere i propri sentimenti, era come un vulcano in ebollizione e dovetti blandirla per rompere il suo silenzio.

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Sandokan ebbe un successo travolgente in tutta Europa, battendo ogni record di ascolto, record che durarono per decenni. La canzone della sigla di Sandokan veniva trasmessa da tutte le stazioni radiofoniche, la si sentiva nei bar e nelle discoteche, e salì ben presto in cima alle classifiche. La gente la cantava ovunque andassimo.

I fan non impiegarono molto a scoprire dove alloggiassimo e presero d'assedio l'Excelsior, costringendo i poliziotti a lottare di continuo per dirigere il traffico davanti al nostro hotel in via Veneto. Ironia della sorte, prima di arrivare a Roma, avevo chiesto a Corrado Corradi di trovare qualcuno che si occupasse di pubbliche relazioni e che mi facesse «ottenere qualche intervista». Scelse Mario Natale e Simona Barabesi, un duo che, per l'aspetto, mi ricordava Stanlio e Ollio. Si rivelò una mossa intelligente. Ogni canale televisivo, ogni radio, ogni rivista o quotidiano in Italia voleva intervistarci, filmarci o fotografarci. Non avrei potuto gestire tutto da solo. Mario e Simona erano dei maestri di strategia che sapevano come cavalcare il successo. Decidevano l'ordine delle interviste, il look dei nostri servizi fotografici, l'orario e il luogo delle nostre apparizioni. Ai giornalisti venivano assegnati spazi di mezz'ora, dalla mattina alla sera. Era un carnevale mediatico!

I media italiani mi hanno riempito di encomi senza precedenti. Il Corriere della Sera pubblicò un articolo in prima pagina in cui si diceva che avevo «riportato in Italia la mania per le star». La gente non vedeva «una tale frenesia di fan a memoria d'uomo». Altri dissero che ero il nuovo Rodolfo Valentino, Tyrone Power o Errol Flynn. La rivista britannica Screen International definì lo sceneggiato «il più grande successo nella storia della rete televisiva. Ventisette milioni e mezzo di persone incollate ai televisori. Durante la messa in onda, per le strade non c'era anima viva. Adolescenti urlanti hanno preso d'assalto la sede della RAI per vedere il nuovo idolo quando è apparso alla fortezza per una conferenza stampa. È stato necessario chiamare la polizia per trattenerli».

Il merchandising di Sandokan inondò il mercato di bambolotti con le mie sembianze. In tutta Italia impazzavano gli album di figurine dedicate allo sceneggiato. La gente battezzava Sandokan le proprie barche. Molte persone avrebbero voluto chiamare i loro figli «Kabir», ma furono respinte all'anagrafe. In un momento memorabile, Parveen e io incontrammo Liza Minnelli sul set di un film diretto da suo padre Vincent, e lei ci definì «la coppia più bella del mondo».

Negli ultimi giorni che trascorremmo a Roma, guardammo l'edicola di fronte all'Hotel Excelsior: eravamo sulla

copertina di quasi tutti i giornali e le riviste. Kabir Bedi e Parveen Babi erano diventati famosi in Italia. Gli occhi di Parveen brillavano di gioia mentre i miei erano pieni di lacrime. Il ragazzo di Delhi ce l'aveva fatta.

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