Ecco Daniele Ronda, erede di Van De Sfroos

Il cantautore che si esibisce in dialetto piacentino pubblica il nuovo album "La sirena del Po"

Ecco Daniele Ronda, erede di Van De Sfroos

Per dieci anni ha scritto successi per altri (soprattutto per Nek con cui ha vinto il Festivalbar scrivendo Lascia che io sia) poi ha deciso di «scendere in campo», di fare il cantautore - soprattutto in dialetto - e il piacentino Daniele Ronda oggi è già definito «l'erede di Van De Sfroos».

«Quando scrivi per altri - dice Ronda - ti senti un po' sarto e un po' psicologo, ma a un certo punto senti l'esigenza di non passare più da questa dogana. Così lui, dopo aver partecipato a Sanremo Lab con il brano La nev e il su, ha fondato il gruppo Folkclub e ha inciso Daparte in Folk (Premio Mei come miglior progetto musicale in dialetto dell'anno) e il nuovo La sirena del Po, che anticipa la sua tournèe italiana. «Scoprendo il folk ho riscoperto le origini. Amare le proprie radici unisce così come i vari dialetti valorizzano - e non dividono - la cultura del Paese. Le idee più innovative prendono spunto dal passato nell'arte, nella moda, nel sociale. Così ho preso il folk e l'ho addomesticato ai miei tempi. Il folk e la tradizione non sono cose vecchie da buttare, anzi». Il nuovo album conferma la forza e la maturità compositiva di Ronda, che cerca una strada autarchica nonostante gli inevitabili riferimenti ai suoi maestri. «Mi paragonano a Van De Sfroos? È un onore - anche se ci sono differenze sostanziali fra noi - perché è il mio idolo. Ho tradotto in italiano la sua 40 pas trasformandola in 3 corsari e da allora abbiamo suonato spesso insieme e ha partecipato al mio primo album insieme all'ex cantante dei Nomadi Danilo Sacco». Ama i grandi cantautori, da Dylan a De André, ma i suoi preferiti in assoluto sono Guccini e Fossati. Non ama essere definito o incasellato e se proprio gli chiedi di descriversi risponde: «Sono un cantautore di sentimenti veri, reali. Le mie canzoni sono molto dirette e, anche se a volte un po' drammatiche, hanno sempre una punta di positività. Nei miei brani c'è una porta aperta da cui fuggire dal nichilismo». Oramai i suoi fan sono tanti, e al concerto al Palasport di Piacenza (dove giocava in casa) ne ha radunati più di tremila, ma al successo non pensa.

«Dipende cosa si intende per successo. Certo per arrivare non snaturerò mai il mio suono acustico e un po' vintage. Sono partito costruendo la mia carriera mattone dopo mattone. Suono nei pub e nei Palasport e questa è la mia vita».

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