A snocciolare i nomi dei giurati del concorso della 72a Mostra d'Arte cinematografica che oggi si apre al Lido di Venezia si fa veramente fatica a immaginare gusti e interessi comuni. Il direttore Alberto Barbera ha scelto solo cineasti, molti registi (il presidente di giuria il messicano Alfonso Cuarón, il turco Nuri Bilge Ceylan, il polacco Pawel Pawlikowski, il taiwanese Hou Hsiao-hsien, la britannica Lynne Ramsay) e due attrici (la tedesca Diane Kruger e la statunitense Elizabeth Banks, peraltro regista esordiente con la commedia di successo Pitch Perfect 2 ). Al poker di film italiani in concorso (Marco Bellocchio, Luca Guadagnino, Piero Messina e Giuseppe M. Gaudino) non resterà dunque che affidarsi al giurato italiano, il collega Francesco Munzi in competizione lo scorso anno con Anime nere . Neanche un critico a disturbare i manovratori professionisti della macchina da presa. Per la verità uno che ha scritto di cinema in passato ci sarebbe, è lo scrittore francese Emmanuel Carrère (suoi i bestseller Limonov e Il regno ) che ricorda così i suoi giorni da giurato al festival di Cannes nel 2010: «Non dovrei dirlo ma l'unico film che non ho visto è quello che vinse la Palma d'Oro. Mi sono addormentato dopo un quarto d'ora. Sono stato onesto e durante la votazione mi sono astenuto».
Se queste sono le premesse assisteremo a uno di quei verdetti che lasceranno stupiti perché frutto delle solite e matte dinamiche che si vengono a creare nel reality «riunioni di giuria». Si comincia stasera: ad aprire la mostra il film fuori concorso Everest di Baltasar Kormákur, ispirato ai tentativi di raggiungere la vetta della più alta montagna del mondo. Tra i 21 film in concorso molti sono quelli, sulla carta, da tenere d'occhio. Partendo dagli italiani è probabile che a sorprendere di più sarà il vero outsider della compagine nazionale. Così, messi da parte l'esordio di lusso di Piero Messina con L'attesa e la sua splendida Juliette Binoche, il triangolo amoroso con attori del calibro di Tilda Swinton, Ralph Fiennes e Dakota Johnson di A Bigger Splash di Luca Guadagnino, l'Italia grottesca ma terribilmente reale tra inquisizioni ecclesiastiche del 1600 e vampiri odierni di Sangue del mio sangue di Bellocchio (che, se anche quest'anno non vincerà nulla, dovrà inventarsi nuove invettive), ecco che potrebbe essere Per amor vostro di Giuseppe M. Gaudino, tutto girato in un profondo bianco e nero tra Napoli e Pozzuoli con Valeria Golino che interpreta una madre di tre figli prigioniera nel suo angolo d'inferno dei doveri e della famiglia, a convincere una giuria eterogenea come quella veneziana.
Mentre, dando uno sguardo all'estero, il film sulla cui qualità artistica si può già tranquillamente scommettere è Francofonia di Aleksandr Sokurov, il regista nato in Siberia nel 1951, Leone d'Oro nel 2011 con Faust, che, dopo Arca russa , torna a girare in un museo, il Louvre di Parigi, e già si parla di una spettacolare messa in scena che mescola opere d'arte, ricostruzioni storiche, archivi e testimonianze, per raccontare la relazione tra arte e potere sotto l'occupazione nazista.
C'è poi un altro film che, se anche non dovesse vincere a Venezia, profuma già di Oscar, si tratta di The Danish Girl di Tom Hooper sulla vera storia della coppia di artisti danesi formata da Gerda Wegener e dal marito Einar, interpretato dall'attore britannico Eddie Redmayne premio Oscar nel marzo scorso per La teoria del tutto , che, nei primi anni Venti, tenterà di effettuare il primo intervento di cambio di sesso.
Molto quotate anche le due opere sudamericane, El Clan dell'argentino Pablo Trapero, la vera storia del clan Puccio nella Buenos Aires degli anni '80, e Desde allá , esordio del venezuelano Lorenzo Vigas. Ma c'è un'altra opera prima che potrebbe scuotere anche i cuori più duri. Quella della grande artista statunitense Laurie Anderson che in Heart of a Dog riflette sulla vita e sulla perdita partendo dalla sua esperienza personale, segnata dalle recenti perdite dell'amato cane, della madre e del marito, il rocker Lou Reed.
Difficile infine pensare che rimarrà a bocca asciutta Cary Fukunaga, l'acclamato regista della prima stagione di True Detective , che, oltre a portare sullo schermo Beast of No Nation un film sconvolgente sull'esperienza di Agu, un giovanissimo
soldato di una guerra civile in un paese africano, ha dietro di sé come produttore Netflix, la società americana di video on demand on line che sbarcherà in Italia a ottobre iniziando a programmare proprio il film di Fukunaga.
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